Venezia Altrove: Almanacco della presenza veneziana nel mondo (1 – 2002)

Una diaspora senza rimpianti

Giuseppe De Rita

La diaspora di una cultura rappresenta un suo impoverimento o produce un incremento del suo ruolo e della sua potenza? Questa domanda induce emotivamente il riferimento a due grandi diaspore che tutti noi conosciamo: la diaspora ebraica, con i figli di Israele dispersi in tutto il mondo e che, pur spesso ghettizzati e perseguitati, hanno innervato dappertutto grandi culture e poteri; e la diaspora italiana, con decine di milioni di nostri connazionali emigrati in ogni parte del mondo ed i cui discendenti oggi hanno raggiunto elevate posizioni di ricchezza e di potere con evidenti positive ricadute per la presenza internazionale del Paese. Da giudaico-cristiano e da italiano mi viene da dire che la diaspora, ha arricchito e non impoverito.

Mi son spesso domandato se la stessa affermazione possa farsi per la diaspora della cultura che ha nei secoli fatto grande Venezia. Dovunque si vada, girando il mondo, si trova qualcosa di veneziano, dipinti, vetri, statue, musiche che siano; e la reazione immediata è il malinconico rimpianto che tutto quel patrimonio sia disperso in ambienti totalmente lontani dalla intima unità ambientale, storica, culturale della città che quel patrimonio ha creato. La Venezia che è “altrove” è oggi forse più ampia (e più fruita) di quella pur enorme (e non adeguatamente fruita) che è rimasta in città. Una città che giustamente non vuole soggiacere ad un destino di inerte museo non deve però guardare a questa diaspora con nostalgia e rimpianto. Che la cultura veneziana sia oggi diffusa ovunque, spalmata in altre culture, è comunque un motivo di orgoglio ed è comunque un possibile fattore di potenza. E’ un motivo di orgoglio perché la diaspora è il frutto non solo delle tante e spesso brutali spoliazioni degli ultimi due secoli, ma è anche il sintomo che la città non è stata solo un animato centro di alta cultura ma è stata specialmente un grande centro di produzione di beni culturali: si dipingeva per vendere ed anche in grande serie; si scriveva musica per allestire concerti ed opere, dentro e fuori Venezia; si fabbricavano vetri e tessuti per un mercato di alta qualità ed in grande espansione. Venezia in genere non produceva per se stessa, il suo stesso potere e la sua stessa immagine internazionale le imponevano (oltre che aprirle) una risonanza ed un mercato internazionali. Era una sorta di multinazionale ante litteram, nello specifico campo dell’arte. La diaspora della cultura veneziana era quindi, probabilmente, nel suo occulto codice di centro di produzione culturale. Un codice estroverso, così lontano dall’attuale introversione della città, ma un codice profondamente radicato in quella che è stata la reale anima produttivo-commerciale degli artisti veneziani (più consonanti con il prolifico Vivaldi che con il nobile e misurato Benedetto Marcello). E mi vien da dire, un po’ cinicamente che per certi versi le spoliazioni successive se le è inconsapevolmente chiamate, i predoni sapevano che il magazzino era ben fornito.

Comunque, quali che siano stati i processi storici che l’hanno provocata, la diaspora c’è stata ed è nei fatti un arricchimento, non solo della cultura mondiale ma anche della stessa Venezia. Non c’è nessun’altra cultura al mondo (neppure quella greca e romana) che sia così diffusa nella fruizione culturale internazionale, e questo potrebbe essere sfruttato dalle istanze e dalle politiche di sviluppo di Venezia. Uno sviluppo che ha bisogno (e non solo sul piano turistico) del coinvolgimento degli stake-holders, cioè di tutti coloro che si sentono dentro la cultura veneziana. E certamente nessuna delle grandi città internazionali può disporre dia una platea di stake-holders così numerosa come può disporre Venezia.

Il nostro almanacco nasce da questa consapevolezza e dalla volontà di dar vita ad uno strumento che tenga i fili di una diaspora vissuta non con il rimpianto che tutto non sia rimasto in visceribus urbis, ma con il gusto e la sorpresa di ritrovare cose nostre ovunque si vada.

| Pag. | Sommario |
| 7 | Una diaspora senza rimpianti (quando la città era un centro di produzione) |
| 9 | A cultural diaspora with no regrets (when the city was a centre of production) |
| | Giuseppe De Rita |
| 13 | L’ultimo deposito: 350 quadri “proibiti” da due secoli. C’era anche |
| | un Tintoretto |
| 21 | 350 paintings “out of bounds” for two centuries, including a Tintoretto |
| | Fabio Isman |
| 29 | Come sono andati dispersi (un Bassano è in Texas) i rari dipinti di un mercante |
| 37 | How a merchant’s paintings were dispersed (and a Bassano went to Fort Worth) |
| | Stefania Mason |
| 45 | Venezia è anche sulla Senna: la singolare storia del Museo Jacquemart-André |
| 53 | The Jacquemart-André a “Venetian Museum” on the banks of the Seine |
| | Francesca Pitacco |
| 61 | Vivaldi: due secoli di oblio (dal 1761 al 1928) poi il ritorno. Ma a Torino |
| 69 | Vivaldi: after two centuries of oblivion (1761-1928) the revival… in Turin |
| | Sandro Cappelletto |
| 79 | Augusto Gentili dà la caccia a un famoso Tiziano: era partito per la Russia… |
| 87 | Augusto Gentili and the search for a Titian masterpiece lost between Venice and Russia |
| | Fabio Isman |
| 97 | Nel ’700 una doppia lotteria polverizza una collezione: |
| | e un Raffaello è a New York |
| 107 | Two 18th-century lotteries to sell off an art collection and a Raphael now in New York |
| | Linda Borean |
| 117 | A uno sceicco (per 370 mila euro) un celebre mappamondo: l’incredibile vita |
| | di chi lo fece |
| 127 | A sheikh acquires a famous globe for g 370,000: the incredible life of its maker |
| | Fabio Isman |
| 139 | Ganimede vola, ma a Bonn (ovvero: come si può ricostruire quanto esisteva a Venezia) |
| 143 | Ganymede flies again… in a Bonn exhibition of old venetian collections |
| | Fabio Isman |