La produzione culturale a Venezia – Gli eventi, i produttori, i fruitori

Considerazioni

Antonio Paruzzolo, Comune di Venezia

Se confrontati con il precedente anno pari – anno omogeneo per le attività della Biennale – i dati del 2010 sulla produzione culturale della Città si presentano tutti in crescita significativa, con qualche, sparuta, eccezione di sostanziale tenuta.

Eppure, tutto il mondo, da ormai qualche anno, è immerso in una crisi globale che sembra non risparmiare nessuno e nessun settore economico in particolare.

È forse prematuro concludere che la produzione di eventi non conosce crisi e che, a Venezia in modo particolare, i numeri siano destinati a continuare nel loro trend crescente senza soluzione di continuità.

Tuttavia, il 2010 era unanimemente considerato dagli esperti un “anno verità” dopo i trend di crescita degli anni precedenti e, segnatamente, la straordinaria performance di settore dell’anno 2009. E il timore che il 2009 potesse costituire un exploit irripetibile, soprattutto in tempi di crisi, aleggiava.

E, invece, tutti i “numeri” del 2010 stanno li a dirci che la produzione di eventi costituisce ormai un consolidato serbatoio di attività produttive per la Città. Osservazione confermata, ancor di più, dalle proiezioni dei risultati del 2011, con la straordinaria performance della Biennale Arti Visive e i suoi oltre 430.000 visitatori, contro i non più di 375.000 della precedente edizione. Quasi a prescindere, verrebbe da dire, dagli ormai drammatici tagli della spesa pubblica e dalla fortissima riduzione di patrocini e sponsorizzazioni del settore privato.

Val, dunque, la pena di interrogarci su alcuni elementi o fattori determinanti delle dinamiche di settore per cercare di comprendere se tutto ciò sia, per così dire, indefettibile e possa continuare all’infinito e, specularmente, fare alcune riflessioni prospettiche.

Domanda e offerta

L’offerta cresce. E, tuttavia, l’impressione è che non si rafforzi, come dovrebbe in tempi di crisi, attraverso un percorso di miglioramento teso, soprattutto, a meglio soddisfare i propri “clienti” potenziali, a catturarne le nuove esigenze e le nuove abitudini, coinvolgendoli con processi di innovazione delle proposte, dei media utilizzati per informarli, per intercettarli e, in definitiva, per orientarne le scelte. Il tutto, ovviamente, come dato complessivo e con le debite eccezioni delle grandi Istituzioni e degli organizzatori di maggiore importanza.

Insomma, è il tessuto culturale della Città che, pur ricchissimo in termini quantitativi, resta un po’ chiuso in se stesso, non riuscendo, ad esempio, ad internazionalizzarsi e a far si che le produzioni veneziane trovino sufficiente spazio anche al di fuori del contesto cittadino.

A mio avviso, la questione è che, perfino in questo settore, a Venezia l’offerta è quasi del tutto insensibile alla domanda. In altri termini, anche il mercato della produzione culturale e di eventi è un mercato dominato dalla domanda, talmente elevata e pervasiva rispetto a quanto, ragionevolmente, la Città può produrre da “giustificare” i processi di consolidamento delle rendite di posizione più che il ricorso ai processi di innovazione per acquisire nuove fette di mercato. Quanto durerà? Non lo so, ma l’impressione personale è che bisognerebbe cominciare a valutare gli eventi, oltre che a contarne il numero.

“Vetrina” o “Fucina”

Tema mal posto dal punto di vista delle attività produttive. La rilevanza che le attività culturali e di produzione rivestono nella nascita e nel consolidamento di nuove professionalità e di nuova imprenditorialità – con l’affermarsi sulla scena cittadina di nuove imprese specializzate nell’organizzazione e nella gestione di eventi artistici e culturali, nella produzione di contenuti multimediali, nella comunicazione e, in generale, nelle più svariate attività di supporto – è ormai di tutta evidenza, oltre che dato ampiamente consolidato nell’economia cittadina. Tra l’altro, non posso non sottolineare come le dinamiche descritte stiano alla base dello sviluppo dell’incubatore ex-CNOVM della Giudecca, fortemente voluto dall’Amministrazione comunale, che costituisce certamente un centro di eccellenza per questo tipo di attività.

La vera questione, anche in questo caso, è piuttosto se i processi economico produttivi sottostanti siano veramente processi a valore aggiunto, in grado di consolidarsi “per sempre” come forze produttive trainanti dell’economia cittadina, ovvero non siano anch’essi soggetti a una sorta di precarietà dovuta all’”effetto vetrina” di Venezia. Questo si, elemento sostanziale e trainante di tutte le attività che qui si svolgono. E, di conseguenza, se essi possano realmente consolidarsi e contribuire a sviluppare e stabilizzare un nuovo comparto economico, capace di produrre anche al di fuori dei confini cittadini, esportando e valorizzando le produzioni veneziane in contesti più ampi.

Programmazione e “libero mercato”

E di sempre la polemica sull’incapacità della Città di programmare i propri eventi. Si discute molto sulla necessità di arrivare a forme più o meno articolate di coordinamento e di efficace programmazione di manifestazioni ed eventi. Non credo sia possibile, né auspicabile. In prima istanza, perché il mercato è guidato dalla domanda. Ma, forse, ancor di più perché soltanto una sana competizione fra i migliori sarà, a mio avviso, in grado di rispondere alle due questioni precedentemente poste: “domanda e offerta” e “vetrina o fucina”.

Solo una sana competizione potrà, forse, abbattere il fattore limitante della rendita di posizione. Solo una sana competizione potrà, infine, aiutare a comprendere le regole virtuose della domanda e contribuire a migliorare la qualità dell’offerta.

Ciò che servirebbe, invece, è la capacità dei soggetti coinvolti di sviluppare tra loro un dialogo costruttivo in grado di definire un diverso contesto economico-culturale che, senza dubbio, aiuterebbe largamente l’evoluzione positiva dei processi descritti.

L’Amministrazione, per parte sua, dovrebbe limitare il proprio intervento alle funzioni che le sono proprie: dettare le regole e creare le migliori condizioni possibili perché Istituzioni e operatori economici del settore possano sviluppare compiutamente le proprie capacità e potenzialità.

La candidatura

Venezia e il territorio circostante si candidano a Capitale europea della cultura 2019. Come accaduto nel 2010 per la regione della Ruhr – e, sia detto, con grandi similitudini tra due tra i principali distretti industriali dell’Europa, con analoghi problemi di trasformazioni e rilancio dello sviluppo – la candidatura riguarda non solo Venezia, città capoluogo, ma un intero territorio.

Da questo punto di vista, diventa fondamentale saper sviluppare la capacità di riferirsi al contesto europeo e di ragionare in termini di “distretto culturale”, cioè, in ultima istanza, di saper iscrivere l’attività culturale della Città in uno spazio metropolitano di ampia scala.

Forse, il catalogo degli eventi e delle iniziative culturali della Città e della Terraferma – che, sempre più pressantemente si qualifica come luogo di cultura di grande interesse, con dinamiche anche diverse rispetto a quelle tipiche del Centro storico – non basta a “fare distretto” e a creare il riconoscimento a livello europeo, indispensabile per il successo della candidatura. L’auspicio è, dunque, che si possa ragionare concretamente a dimensione di area vasta e con riferimento ad analoghi progetti, di respiro europeo, realizzati o in via di avanzata realizzazione soprattutto nei paesi nord-europei. Progetti che sappiano creare una serie di interdipendenze fra arte, scienza, artigianato e attività produttive in genere. E che possano trovare la loro “casa” in luoghi simbolo del territorio come l’Arsenale, Forte Marghera, le aree industriali abbandonate di Porto Marghera, contribuendo in tal modo a dare una forte identità culturale anche ai territori “incompiuti”.