La produzione culturale a Venezia – Gli eventi, i produttori, i fruitori

Considerazioni

Cesare De Michelis

Il 2008: l’anno della crisi

Questo sesto rapporto sulla produzione culturale a Venezia per la prima volta si confronta con la crisi, quella epocale di cui ci siamo accorti l’estate del 2008 e che ha stravolto il nostro modo di vivere durante questo 2009.

L’offerta culturale e i consumi in che modo ne sono stati coinvolti? A un primo sguardo i numeri totali sembrano indifferenti: 1838 eventi nell’anno concluso, 1861 nel precedente e poi indietro 1790, 1674, 1838 nel 2004. La «vitalità” della produzione veneziana non sembra essere stata sensibile alla crisi.

Ma a un’analisi meno superficiale qualche crepa si manifesta: le iniziative più impegnative – musica, teatro, arti visive, cinema – sono tutte in calo, anzi in calo vistoso. Le conferenze e i convegni, che nel 2005-07 rappresentavano più o meno un terzo delle produzioni, nel 2008 sono diventati più di due quinti, quasi il 50% di più, e se i visitatori di mostre e musei l’anno scorso hanno sostanzialmente retto, perché la flessione si è sentita soltanto negli ultimi mesi, quest’anno – nel 2009 – hanno visto un calo netto e significativo.

Non poteva essere altrimenti; se la gente si sente costretta a contrarre le spese, o comunque a gestirle con maggiore prudenza – l’ultimo rapporto CENSIS è inequivocabile in merito –, non si vede perché quelle “culturali” dovrebbero resistere meglio.

Quel che colpisce semmai è la modestia delle reazioni, dei progetti per cambiare l’offerta o sollecitare nuove domande; è l’assenza, cioè, di un’analisi che identifichi i cedimenti più gravi, le debolezze scoperte. Insomma tiriamo a campare.

Che la mano pubblica e soprattutto lo Stato proceda senza esitazioni tagliando la spesa corrente è sotto gli occhi di tutti, né si capisce che altro potrebbe fare avendo nel contenimento del deficit il suo obiettivo principale; le riduzioni di spesa degli Enti Locali sono inevitabilmente conseguenti; nel corso del 2008 poi, è apparso chiaro che gli investimenti bancari delle Fondazioni duramente colpiti dalla crisi non avrebbero distribuito nessun utile e così un’altra fonte di finanziamento si essicava; allo stesso modo le grandi imprese, tutte, o quasi, più o meno impoverite, riducevano la spesa di sponsorizzazioni ecc. ecc.

Ebbene, né l’anno scorso né quest’anno si sono viste significative proposte di riforma in sede legislativa e neppure è in corso un pubblico confronto sul da farsi. Una sorta di incantamento lascia tutti stupefatti e preoccupati, ma nessuno ha voglia o forza per prendere l’iniziativa e cambiare strada, per avviare un processo di riforme radicali.

Anzi, spese e investimenti sono stati e sono concentrati su importanti interventi di restauro immobiliare, mentre per quel che riguarda la gestione si continua senza vere e proprie trasformazioni della spesa corrente, né puntando a forti incrementi degli incassi in biglietteria o per servizi.

Le proposte che restano

Già presentando le precedenti edizioni del rapporto erano emersi significativi punti di crisi ed erano state avanzate significative sollecitazioni a definire un piano di interventi, che per un verso puntavano a superare le frammentazioni dell’iniziative con un forte impegno nel coordinamento e nella programmazione, per l’altro segnalavano l’emergere di nuove professionalità e di servizi all’altezza di quel complesso sistema che ormai era la produzione culturale e avrebbe potuto definirsi come un vero e proprio distretto, infine investivano l’intero assetto del territorio identificando proprio nella produzione culturale un efficace motore per accelerare l’organizzazione di uno spazio metropolitano su scala ben più grande di quella riduttivamente municipale, e nell’asse Padova-Venezia la prima e principale direttrice lungo la quale immaginare la riorganizzazione degli spazi urbani e delle funzioni civili in una prospettiva sufficientemente integrata.

La questione di un nuovo assetto metropolitano del territorio ha acquistato comunque un posto centrale nel dibattito istituzionale e politico ben al di là della sola produzione culturale, perché investe l’intero sistema delle infrastrutture, ancora gravemente in tensione per la sproporzione tra offerta e domanda, e tramite esso l’equilibrio geopolitico e commerciale dell’intera Europa adriatica e di mezzo.

Capitale europea della cultura 2019

In questa prospettiva va letta la seconda parte del rapporto dedicata alle Capitali europee della cultura e in specie alle manifestazioni previste nel 2010 nell’intera Ruhr, dove per la prima volta l’iniziativa riguarderà un’intera regione, piuttosto che il suo solo capoluogo.

Il progetto che da Essen coinvolge il territorio è esemplare rispetto a quello che prevede per il 2019 la candidatura di Venezia e il Veneto, se non addirittura il Nordest; ricapitolare quindi la storia e le regole della manifestazione serve a fare chiarezza in un confronto troppo spesso improvvisato e superficiale e soprattutto segnala come la dimensione metropolitana e sovramunicipale dell’evento, si venga invece imponendo nel contesto di una più generale riorganizzazione degli spazi urbani per affrontare le sfide dell’innovazione.

L’esempio tedesco nella sua imminente concretezza è di stimolo alla riflessione veneta e contribuisce a togliere qualsiasi aura utopica o velleitarista alla candidatura veneziana e nordestina proiettata in un tempo sin troppo lontano – il 2019 – per non suscitare diffidenze.

L’opportunità di scadenze rigidamente prefissate da un clamoroso evento internazionale, l’esigenza di precisi impegni di trasformazione e di rinnovamento del territorio e delle sue strutture, sono finalmente condivise da una larga maggioranza delle istituzioni e delle forze politiche, al punto che quasi contemporaneamente alla candidatura per la capitale europea della cultura nel 2019 si è manifestata anche quella, sempre di Venezia e del Nordest, a sede dei giochi olimpici nel 2020.

L’una e l’altra, o l’una o l’altra, sarà la questione dei prossimi mesi e soprattutto il nodo delle scelte successive alle prossime elezioni regionali e comunali, ma sin d’ora si può insistere sull’esigenza, sulla necessità, che l’evento ci sia, che la data venga fissata e connessa si definisca una precisa agenda per gli anni a venire: un decennio, per quanto possa apparire lungo, si consuma con sorprendente rapidità.

Estate 2009: il rinascimento veneziano

Un’ultima considerazione: la fine della primavera e l’inizio dell’estate 2009, nonostante la crisi continuasse persino più difficile e dura, sono stati per Venezia un magico momento di vera e propria rinascita.

Nel giro di pochi giorni di giugno abbiamo assistito, mentre si inaugurava la Biennale di Arti visive, all’apertura di due nuovi musei – quello d’arte contemporanea a Punta della Dogana e quello dedicato a Vedova in uno dei Magazzini del Sale – progettati da due stelle dell’Olimpo dell’architettura come Tadao Ando e Renzo Piano, e al recupero dell’intero palazzo di Ca’ Giustinian come sede permanente della Fondazione la Biennale, con spazi straordinari aperti al pubblico e servizi d’eccellenza. Per di più a fine al 2007 era stato già riaperto Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa.

In quel clima festoso, seguito con straordinaria attenzione dalla stampa di tutto il mondo, si è potuto vedere da vicino quanto grandi e significative possano essere le potenzialità di Venezia nel tempo che viene, a condizione che pubblico e privato senza pregiudizi e senza barriere riescano a operare con spirito di collaborazione e ambizione di primato, con desiderio di competizione e senso di responsabilità.

Vedremo l’anno prossimo in che modo quell’indimenticabile stagione avrà agito sui dati della produzione culturale veneziana.