Venezia Fabbrica d’Arte tra collezionismo ed esportazione

Introduzione

Per svariati secoli, Venezia è stata un’immensa produttrice di cultura e d’arte. In certe sue stagioni, e in certi settori, anche la massima “fabbrica” di questo tipo che esistesse in tutto il mondo. Nella musica e nell’editoria, in architettura e in pittura: mille assunti lo dimostrano, mille esempi lo testimoniano. Una lunga “stagione d’oro”, che ha cominciato a manifestarsi già nel Trecento, è iniziata compiutamente nel Quattrocento, e si è protratta per tre secoli. Anche se qualcuno, certo prematuramente, fissa già al 1418 «l’inizio del declino della città»[[John Ruskin, Le pietre di Venezia, a cura di Attilio Brilli, Milano, Mondadori, 1982.]], che invece interverrà semmai a cavallo tra il Sei e il Settecento (uno dei primi indizi è forse la perdita di Candia), e si compirà in modo definitivo nel secolo successivo, con la fine della Repubblica e le occupazioni francese e austriaca. Anzi, anche il Settecento, l’ultimo secolo dell’indipendenza, è stato, per Venezia, un tempo di grande splendore, in cui «mai prima d’allora, né in seguito, una singola città è stata al centro di un’attenzione artistica così estesa e minuziosa»[[Michael Levey, L’arte veneziana del XVIII secolo, in Splendori del Settecento veneziano, cat della mostra, Venezia Ca’ Rezzonico, Gallerie dell’Accademia e Palazzo Mocenigo, 26.5 – 30.7 1995, Milano, Electa, 1995.]]; e gli estremi sussulti di questa grande vitalità si sono manifestati, soprattutto per merito della Biennale, perfino nel secolo che si è appena concluso.

È proprio di questa importantissima “fabbrica” d’arte e cultura che ci occuperemo: soprattutto per vedere come e quanta parte di ciò che essa ha realizzato nella stagione migliore è andata perduta, ormai irrimediabilmente almeno per la lettura dei contesti: disseminata in ogni dove, assolutamente dispersa. Una “diaspora” che si è verificata, per una quantità di ragioni e fenomeni anche i più eterogenei, nei tempi più bui; ma non soltanto: anche quando la potenza della Serenissima, se non più al suo apice, era ancora una realtà assolutamente riconoscibile. Ma ce ne occuperemo anche per individuare attraverso quali strumenti il fenomeno può essere conosciuto e catalogato nella sua compiutezza, perfino nelle destinazioni finali di quanto è andato perduto; nonché per cercare di capire in quale modo tante opere e tanti capolavori, ormai sradicati dal luogo dove erano stati concepiti e creati, possono ancora tornare a “dialogare” con la città in cui sono nati, e per la quale erano stati ideati. Cioè come Venezia può recuperare, e mettere ancora a frutto, una parte della sua “memoria”: una parte, importantissima, di sé medesima.