La produzione culturale a Venezia – Gli eventi, i produttori, i fruitori

Considerazioni

Michele Gottardi, Ateneo Veneto

Con buona pace delle prefiche sempre gaudenti per un esercizio che scompare o un negozietto che chiude, il numero delle attività e soprattutto dei promotori culturali di questa città, d’acqua e di terra, è in costante aumento da dieci anni. Da quanti cioè esiste l’annuale Rapporto sulla produzione culturale a Venezia, censito ed edito dalla Fondazione Venezia 2000 e dalla Fondazione di Venezia. A scorrere le pagine del primo, programmatico, libriccino che Manuela Bertoldo e Francesco Sbetti curavano sulla produzione del 2003 – e confrontandole con le tabelle che potrete leggere in queste pagine – si evince che l’entità delle giornate evento si è quasi raddoppiata, passando dalle 9.210 giornate di manifestazioni del 2004 alle 18.974 del 2012, con una media quotidiana che da circa 30 eventi di allora passa ai 52 di oggi, che diventano 85 (allora 45) quando la Biennale apre i suoi spazi.
Quanto ai soggetti, oggi essi superano i 300 (nel 2011 sono stati 186), con una miriade di piccole associazioni che mostrano una vitalità, di qua e di là dall’acqua, che molto spesso è segnale di una necessità, di un’ansia di partecipazione e di dibattito della società civile verso le molteplici problematiche di una cultura intesa in senso lato, non tanto e non solo legata all’evento, tanto eclatante quanto effimero. Quello che emerge invece è un’attenzione marcata verso il quotidiano, verso un radicamento col territorio e la sua gente, che è il dato più importante tra i tanti che il Rapporto fa emergere. È come se – preso atto della crisi e della difficoltà di organizzare manifestazioni di ogni genere, anche per l’assenza del sostegno della mano pubblica – la società si sia fatta più intraprendente nel cercare di creare una miriade di piccole occasioni di aggregazione. E se l’entità complessiva delle manifestazioni tiene conto dell’assenza della Biennale delle Arti visive (Architettura ha un minor numero di giornate di apertura), tuttavia il numero degli appuntamenti singoli è in costante crescita: a partire dai 1.500 del 2003 sono sempre cresciuti progressivamente, giungendo ai 2.503 del 2011 e ai 2.844 del 2012. Fa specie l’aumento impressionante dei promotori – soprattutto delle associazioni culturali – che, sembra un paradosso, paiono moltiplicarsi nella microrganizzazione culturale: la chiave di lettura risiede nella compartecipazione degli uni e degli altri allo stesso appuntamento. L’esigenza di costruire una rete va al di là della crisi e non fa solo di necessità virtù. Essa supera la logica dell’evento e pone le condizioni di una rete tra le associazioni, gli istituti, le realtà pubbliche e private. Venezia è una città e una realtà che per sua natura è eccezionale: qualsiasi cosa si faccia qui deve avere, quasi ontologicamente, un valore eccezionale.
Eppure questa idea di cultura ha stravolto il tessuto connettivo e sociale: la crisi ha incredibilmente contribuito a far risalire una attività di base che evidentemente era latente, mai definitivamente sommersa.
Proprio questa idea di fare rete (dal Distretto veneziano della ricerca sin giù agli appuntamenti più disparati) costituisce la soluzione per andar oltre l’effimero. Essa segna e sottolinea una continuità, una costante che supera l’evento, che per sua natura è più sporadico, eccezionale, fine a se stesso. L’entità delle collaborazioni non riguarda più solo gli appuntamenti culturali, i convegni o i congressi: ormai investe in modo più carsico, ma non per questo meno fondamentale, le biblioteche e gli archivi, le risorse umane, il personale, condividendo co.co.pro, progetti di servizio civile, persino dipendenti strappati alla disoccupazione facendosene carico part-time, gli uni con gli altri.
Tra questi appuntamenti – sia quelli organizzati autonomamente che quelli in collaborazione – si confermano ai primi posti il Comune e l’Università Ca’ Foscari, nelle loro diverse forme. In particolare va sottolineato il ruolo di organizzatore e produttore dell’Assessorato alla cultura che da solo, e nella programmazione del Centro Candiani e di Circuito Cinema, raggiunge gli 887 appuntamenti per circa 3.000 giorni di programmazione.
Anche qui la collaborazione è tangibile: gli eventi “con altri organizzatori” sono più della metà, mentre Ca’ Foscari si ferma leggermente al di sotto del 50% dei suoi 211 incontri e dei 468 giorni complessivi.
Dietro i due enti pubblici principali (lo Iuav segue a distanza), c’è – lo sottolineo con naturale orgoglio e soddisfazione personale – l’Ateneo Veneto. Anch’esso in costante crescita, l’istituto di campo San Fantin in questi anni è andato crescendo per numero e qualità degli interventi, ma anche e soprattutto nelle collaborazioni che costituiscono un terzo dei suoi 148 appuntamenti che occupano 257 giorni. L’Ateneo è anche di gran lunga il luogo più impegnato per conferenze e convegni: da solo rappresenta circa il 13% del totale dell’offerta culturale della città.
Stando ai giorni di apertura, Biennale e Fondazione Musei Civici mostrano la loro supremazia: 1.028 per la prima nell’anno di Architettura, ben 3.054 per la seconda. Ma tangibile anche l’attività dell’Istituto Veneto, della Guggenheim e della Bevilacqua La Masa, della Cini e della Fondazione Vedova, tutte ben oltre i 400 giorni di programmazione grazie a più sedi espositive.
Qualche considerazione conclusiva infine. Il numero di dati in provincia (300 circa gli avvenimenti annui) ci permette di andare oltre anche la questione del rapporto città/territorio. Diverse le esigenze e soprattutto le utenze, a riprova che una capitale della cultura fa sempre e prima di tutto riferimento a una città capoluogo.
Ma mentre in una programmazione ordinaria – come nei centri della provincia o nelle città minori – i mesi più ricchi sono febbraio/marzo, per carnevale, e luglio, con gli spettacoli all’aperto, ovvero si assiste a un calendario che segue un suo corso piuttosto definito, nel caso di una città come Venezia si vede come – al di là dell’ingorgo di appuntamenti settembrino – si sia ormai consolidata una “destagionalizzazione”, che è il risultato d’un lato del superamento dei generi definiti (si veda ad esempio l’attività del teatro La Fenice ormai aperta in ogni giorno e mese dell’anno o l’apertura delle istituzioni culturali anche d’estate), dall’altro dalla completa copertura delle programmazioni per una stagione turistica ormai estesa a undici mesi all’anno.
Sono dati che a tutta prima possono apparire controversi rispetto a quella microrganizzazione culturale di cui si diceva. In realtà mostrano invece come la città e il suo territorio si muovano ormai su due livelli, tenendo conto dei flussi turistici e della realtà sociale e connettiva che ancora permane, consolidata. D’un lato gli eventi, dall’altro il quotidiano, con le loro possibili, frequenti, intersezioni. Con buona pace delle prefiche, ovvio.