Venezia e l’alto Adriatico

L’Alto Adriatico alla prova della razionalità

Le cinque frontiere di una nuova identità

In tempi di globalizzazione spinta dei processi e delle economie, di contaminazione culturale diffusa, ubiquità multinazionale delle unità produttive, ricomposizione funzionale di soggetti e attività di governo, il primato del territorio, la forza del radicamento e dell’identità fisica, sta progressivamente subendo una torsione di significato, riconfigurando la propria valenza sotto la duplice lente interpretativa della posizione e della rappresentazione.

Se è vero, infatti, che il territorio come spazio di posizione continua a mantenere il protagonismo dell’identificazione povera, semplice e immediata, il vigore della rivendicazione, e si identifica, per molti versi, come il luogo contenitore dei conflitti e della proliferazione molecolare, è anche vero che il territorio come spazio di rappresentazione diviene sempre più la chiave di volta dei meccanismi dello sviluppo locale, declinando soprattutto attraverso una rinnovata capacità relazionale gli impulsi e le multi-opportunità di quella che molti continuano a chiamare nuova economia.

In effetti, appare lecito domandarsi dove risieda la forza di un territorio, oggi, all’interno dell’articolato scenario planetario, su quali basi poggi la sua identità profonda, che è storia ma anche simbolo, al di là delle mere rivendicazioni localiste e dei radicalismi. Cosa fa sviluppo? Cosa, ancora, da’ identità?

Non sono certo questioni semplici, queste, o semplificabili oltre il limite di un ragionamento, ma sono interrogativi legati alla capacità di un territorio di rappresentare qualcosa di più dell’effettiva, pur sempre rilevante, posizione e dotazione ambientale.

Probabilmente, quello che fa la forza di un territorio nella prospettiva degli anni a venire non è tanto il territorio stesso, quanto la sua capacità di interpretare un ruolo non secondario all’interno dei percorsi della globalizzazione: qualcuno ha scritto che un territorio è – e soprattutto sarà – forte se saprà porsi come porta dei processi della globalizzazione o quantomeno come presidio degli ultimi 100 metri di una filiera all’interno di essi. Non potrà contare solo per quello che è, ma piuttosto per quello che saprà rappresentare in uno scenario più ampio, fatto di relazioni complesse.

La relazionalità, dunque, la capacità di cogliere e tessere relazioni con il contesto esterno, adiacente o complementare, diviene un anello strategico per la comprensione delle capacità di sviluppo di un territorio. E attraverso il rimescolamento relazionale, la fusione continua, lo scambio pluridirezionale, la contaminazione interviene a definire nuove identità di area, lungo geometrie variabili rispondenti alle metamorfosi itineranti delle condizioni reali. E nel processo di contaminazione acquisiscono un ingente potere simbolico le frontiere, le linee culturali e geo-politiche di innesco graduale di interscambio, che contribuiscono, con la loro sfumatura e, in un certo senso, con la risacca identitaria che generano, a rimettere in discussione il modello di crescita di un territorio e la sua evoluzione possibile futura.

Il bacino dell’Alto Adriatico sta modificando la propria identità di sviluppo proprio facendo leva, più o meno consapevolmente, sulla risacca attivata dalle sue frontiere relazionali che, su almeno cinque fronti differenti, stanno generando possibilità di evoluzione in discontinuità con il passato. In altri termini, in un’area molto prossima all’intero Nord Est tradizionale, si stanno manifestando gli effetti osmotici di almeno cinque processi relazionali che ne stanno progressivamente ricomponendo il modello di crescita, in maniera più o meno sintonica con la capacità di rappresentare presidi della globalizzazione.

Guardando alle cinque frontiere geo-politiche del bacino dell’Alto Adriatico, infatti, si possono osservare altrettante frontiere relazionali che stanno mettendo in gioco l’identità tradizionale dell’area:
– la frontiera occidentale, il Nord Est, coinvolto sempre più da fenomeni di ricomposizione produttiva e sociale;
– la frontiera marittima, interessata da radicali mutamenti dello scenario logistico;
– la frontiera meridionale, in cui continua a crescere il cosiddetto “distretto del piacere”;
– la frontiera transfrontaliera settentrionale, che pone oggi questioni rilevanti di costituzione di una macro-regione europea;
– infine, la frontiera dei Balcani, dell’Europa Sud orientale, che esprime le contraddizioni e le opportunità di una relazione geopolitica ancora poco esplorata.

In primo luogo la frontiera occidentale di retroterra, il Nord Est tradizionale, coinvolto sempre più da fenomeni di ricomposizione produttiva e sociale che ne stanno ridefinendo connotati e prospettive di sviluppo, polarizzate intorno ai due eccessi della sfida globale di mercato e del rinserramento difensivo arroccato. Un’area che ribolle di processi trasversali: dalle tensioni demografiche di una società che invecchia, con sempre meno figli e famiglie, all’inclusione delle dinamiche di internazionalizzazione nel mondo del lavoro (oggi il 3% degli occupati sono immigrati extracomunitari, nelle previsioni diventeranno il 15% della popolazione), alla frattura sempre più netta tra chi ha paura e chi invece continua a scommettere sul futuro, tra chi si rinserra in casa fiero dei propri sistemi di sicurezza domestica e chi al contrario continua a uscire allo scoperto nell’innovazione e nell’interscambio internazionale. E ancora sintomi di nuova economia, delocalizzazioni (la Romania diviene l’ottava provincia del Veneto, con le sue 4.500 imprese delocalizzate), rimodulazione dei distretti industriali (l’80% delle imprese del distretto di Montebelluna di delocalizza), innovazione, servizi.

Nell’ultimo Rapporto sul Nord Est si è addirittura parlato di “magma”, interpretando il rallentamento delle performances economiche dell’ultimo quadriennio come cambiamento di fase di sviluppo. Anche il federalismo sembra aver perso di attrattività, nella ricerca di nuovi baricentri politici ed amministrativi.

E il “magma” Nord Est, che sia realmente magma o soltanto spaccatura tra paure e scommesse, appare comunque molecolarizzato e differenziato, ridefinito dai nuovi lavori autonomi alternativi all’impresa tradizionale, in movimento verso nuovi assetti di rete che coinvolgono anche le città, chiamandole a responsabilità innovative nella filiera di fornitura delle funzioni di supporto al territorio più periferico.

La frontiera relazionale occidentale del bacino dell’Alto Adriatico, dunque, appare sfumata e in ebollizione, alla ricerca di nuove relazioni e nuovi equilibri almeno in apparenza non in continuità con la sua storia evolutiva.

Non meno interessante per la sua trasformazione appare, in secondo luogo, la frontiera relazionale orientale, il front line marittimo del bacino dell’Alto Adriatico, rappresentato, nel concreto, dai porti di Ravenna, Venezia, Trieste e Monfalcone. La frontiera marittima, il naturale sbocco sul mare, è interessata ormai da alcuni anni da radicali mutamenti dello scenario commerciale internazionale – in continua espansione anche per le previsioni future – e appare ormai giunta alla sua prossima decisiva tappa di crescita e trasformazione rappresentata dallo sviluppo del cabotaggio e dalla integrazione sistemica.

Spinti anche dalla riforma dei porti stimolata dalla Legge 84/94 e alimentati dalla “invenzione” del porto di transhipment di Gioia Tauro, i traffici marittimi nazionali hanno subito una epocale virata di significatività, anche sulla scorta dei continui incrementi complessivi dei traffici mondiali. E’ voce di mercato recentissima che l’AP Moller, casa madre di Maersk Sealand, si appresti ad avviare nei propri cantieri di Odense, in Danimarca, la costruzione di navi portacontainer con capacità di 12.000/12.500 Teu, lunghe 500 metri, larghe 55, con un pescaggio di 14,5 metri, in grado di navigare con due motori ad una velocità di 35 nodi.

Accompagnando questa rivoluzione logistica, che viaggia sugli obiettivi del cabotaggio, delle cosiddette Autostrade del Mare, con previsioni di incremento degli scambi che nel solo Mediterraneo sono di almeno il 4% annuo, i porti del bacino dell’Alto Adriatico stanno lavorando duramente per attrezzarsi al meglio per la competizione. Generando un movimento complessivo lungo la frontiera relazionale marittima che investe temi rilevanti – in aggiunta, evidentemente, alla reingegnerizzazione funzionale degli stessi -, quali: il corridoio infrastrutturale adriatico, l’integrazione con i porti internazionali adiacenti, l’integrazione sistemica di bacino, la relazione di comunicazione con il retroterra. Da una recentissima indagine svolta dal Cnel, con il supporto della Federazione del Mare e la collaborazione del Censis, è risultato, ad esempio, che oltre il 50% di un Panel di testimoni privilegiati dell’area valuta ancora poco adeguato l’insieme dei porti perché poco accessibile, per l’80% c’è un cambiamento nella logistica portuale, che però la maggior parte ritiene non pienamente valorizzato e gestito dalle strutture competenti, oltre il 50%, infine, ritiene prioritario intervenire per integrare i porti tra di loro e con il loro hinterland.

La frontiera marittima, dunque, al pari di quella di retroterra occidentale, rappresenta un terreno di grande cambiamento per il bacino dell’Alto Adriatico, cui trasmette impulsi e stimoli che ne vanno a modificare finanche la stessa identità territoriale.

Una terza frontiera geo-politica e relazionale è poi quella meridionale, con il quadrilatero identificabile tra Bologna, Venezia, Gardaland e Rimini, il cosiddetto “distretto del piacere”, in cui continua a crescere il tessuto produttivo ed occupazionale legato alle attività di consumo e intrattenimento, che pongono nuovi stimoli competitivi e nuove domande al territorio. Muovendosi lungo la deriva che vede la graduale contrapposizione tra capitalismo tradizionale dei distretti industriali e forme di neo-capitalismo culturale, generate dal mercato delle emozioni e delle esperienze, e non più soltanto da quello dei beni, cui si riconducono come sussunzione di stimoli raccolti dai consumi esperenziali, la miriade di attività e nuove professioni legate all’intrattenimento ha conquistato dignità e identità, raccogliendosi intorno ai propri simboli rappresentati dai luoghi in cui il virtuale da vita al reale: i parchi a tema, Gardaland, Mirabilandia, Le Navi, ed altri ancora.

In questo distretto del piacere, composto di iperluoghi, dove si declina imprenditorialmente l’apocalisse culturale del nuovo millennio, si raccolgono e trasmettono al bacino dell’Alto Adriatico stimoli e processi nuovi, con il loro portato latente anche di conflittualità, ad esempio per la competizione fisica sulla disponibilità di suolo o risorse professionali con i tradizionali distretti industriali.

Vi sono ancora, infine, le due frontiere relazionali della porta Sud europea: quella settentrionale al bacino con la Carinzia, in prima istanza, e con l’Europa, e quella d’oltremare con i Balcani, la porzione dell’Europa sud orientale.

La frontiera transfrontaliera europea più tradizionale, a nord, con la Carinzia, in primo luogo, e con i passaggi per la Baviera e i Paesi dell’Est europeo, pone oggi questioni rilevanti di costituzione di macro-regione europea e di integrazione identitaria con l’ambiente esterno su interessi ormai, per certi versi, consolidati – dal turismo alle infrastrutture all’ambiente produttivo -. Il Friuli Venezia Giulia sta attrezzandosi a ragionare su questa frontiera relazionale organizzando gli Stati Generali Transfrontalieri, per confrontarsi a tutto campo sui punti tematici qualificanti della costituzione di fatto di una macro-regione europea, quali: la questione della frontiera, tra similarità e diversità, l’identità territoriale e culturale, lo sviluppo, la dimensione di sistema, i soggetti e i processi dell’integrazione, le reti materiali e immateriali di area vasta. Con la finalità di intervenire sulle ricadute oggettive del percorso relazionale, che si manifestano sempre più sulle economie, sull’occupazione e i “lavori”, sulla formazione e la cultura, sul turismo, le infrastrutture e i trasporti, l’innovazione e le tecnologie, il benessere, la tutela sociale, i consumi e gli stili di vita. Per Trieste, per il suo porto, la Baviera è il mercato. Le associazioni degli industriali di Treviso, Trento, Modena, Parma e Reggio Emilia vanno insieme a Kosice, legittimando di fatto la Slovacchia come frontiera del bacino.

Anche la frontiera dei Balcani, infine, dell’Europa sud orientale, il grande mercato di decine di milioni di persone, della ricostruzione post-bellica, del mantenimento di una pace difficile, di generazione di nuove criminalità organizzate, esprime in una miriade di contraddizioni tutti i rischi e le opportunità di una relazione geopolitica e relazionale.

La fine del regime serbo, la porta dei cugini sloveni e croati, la complementarietà con la zona istriana, smuovono come frontiera del bacino dell’Alto Adriatico una gran quantità di ipotesi di integrazione e sviluppo, in continuità con il lungo cammino intrapreso dall’intero Paese già nel 1989 con il Quadrangolare prima, il Pentagonale e l’Esagonale poi, l’Iniziativa Centro Europea, l’Albania ed il Kosovo del 1997, fino a giungere al Patto di stabilità per l’Europa sudorientale e alla Carta degli investimenti.

Il processo di balcanizzazione, con tutti i suoi contenuti di sicurezza, economia, commercio, politica, rappresentanza internazionale, coesione europea, rappresenta comunque una frontiera relazionale esplosiva per il bacino dell’Alto Adriatico, in termini di rischi ma anche di opportunità, con la quale gli attori dell’area si stanno già confrontando in osmosi relazionale. Mentre per le regioni adiacenti, Slovenia e Croazia, per l’Istria, il meccanismo di integrazione è già avanzato, considerando, ad esempio, l’ipotesi triestina di creazione del grande porto internazionale comune o la concorrenza croata nella nautica da diporto o nella concretizzazione del progetto di quinto corridoio europeo.

Il bacino dell’Alto Adriatico, dunque, sta affrontando le sue cinque frontiere geo-politiche e relazionali, mettendo in discussione la propria identità nella continua e progressiva contaminazione di fattori di sviluppo. E appare pienamente coinvolto sia negli aspetti di rischio che nelle relative opportunità che si aprono, nella ricerca comunque dinamica di elementi innovativi.