Ve-2000 Cultura e Impresa – Aree libere della gronda lagunare ipotesi di trasformabilità  (Ecosfera)

Non è operazione semplice identificare nell’entroterra veneziano 40 – 100 ettari di aree libere. Ancora più problematico è trovare il luogo della combinazione tra questo primo requisito – la dimensione – e gli altri fattori, materiali e immateriali, che producono l’adattabilità di un insediamento a nuove grandi opere edilizie o infrastrutturali.

Le procedure di descrizione e valutazione dei caratteri urbanistici, compito di questo studio, non consentono di comprendere pienamente come un’area possa accogliere o respingere i processi di cambiamento. Tuttavia è già possibile comporre una prima classificazione, una prima certificazione delle virtualità e delle inerzie trasformative. E’ un ordine parziale e unilineare, ma in grado di orientare in seguito le valutazioni più complesse e per il momento capace di rileggere un elenco altrimenti casuale.

Tra le indicazioni suggerite dall’ipotesi iniziale dello studio, i risultati di questa sommaria istruttoria di fattibilità urbanistica indicano le aree di Tessera come le più interessanti. Di segno in parte diverso sono le situazioni registrate nelle aree a sud dell’abitato mostrino. Fortemente critica è la scelta per Porto Marghera.

Per un progetto edilizio o infrastrutturale, raramente è possibile avere opportunità insediative come quelle offerte dai comprensori di Tessera Nord e Tessera Ovest.

Compresa tra il canale della Bazzera, Il fiume Dese e la strada statale 14, per una superficie di quasi 500 ettari, l’area di Tessera Nord ha un andamento pianeggiante, con vaste estensioni a mais e soia, interrotte solo da case coloniche, canali scolmatori, strade interpoderali.

Il tipico paesaggio delle zone di bonifica è segnato dalle opere edilizie dell’autostrada in costruzione, destinata ad assicurare i collegamenti veloci con l’aeroporto e la viabilità in direzione di Padova, Venezia, Trieste. Il nuovo tratto autostradale completerà anche il circuito della viabilità interna della zona, oggi assicurata dalla statale della Venezia Giulia (Triestina) e da alcune strade comunali.

I vari strumenti di piano concorrono a definire un uniforme regime di vincolo a destinazione agricola. Sottoposte a tutele particolari sono unicamente l’area circondariale in fascia al fiume Tese e l’area limitrofa alla zona archeologica di Altino.

Il dominante carattere agricolo dell’area è in gran parte dovuto alla prevalenza della proprietà di grandi dimensioni. Tenute private o appartenenti ai demani di istituti come la Querini Stampalia o il Monte di Pietà, sono comunque aziende in grado di ricavare alti profitti dall’attività agricola. Come si avrà modo di rilevare anche per Tessera Ovest, gli usi attuali non lasciano intravedere spontanei processi di cambiamento, né a maggior ragione più o meno lenti fenomeni di abbandono o disaffezione.

Tessera Nord è la rappresentazione peculiare di ciò che significa un’area agricola. Vincolata a questa funzione dalla pianificazione vigente, luogo di interessi tuttora solidi potrà cambiare solo di fronte a proposte che sappiano presentare benefici tali da giustificare i mancati rientri provocati dalla trasformazione dei suoi caratteri originari.

Una condizione per certi aspetti ancora più interessante è data da Tessera Ovest, si tratta di un’area di dimensioni più ridotte di quelle del comprensorio settentrionale, circa 200 ettari, posta ai margini dell’aeroporto, delimitata a sud dal canale Osellino, a nord dalla strada che da Favaro conduce a Tessera, a est dalla strada per Campalto. E’ di un’area agricola, interrotta solo da manufatti rurali, piccoli edifici residenziali, una caserma. La strada statale Triestina è la principale arteria di collegamento sia verso l’esterno che, in alcuni tratti, tra i nuclei abitati della zona. Vicina al termine è la costruzione di una “bretella” autostradale che permetterà veloci spostamenti in direzione di Mestre e, dal lato opposto, il raccordo con le autostrade per Padova e Trieste.

Nella parte confinante con l’aeroporto, l’area è destinata ad accogliere l’espansione delle strutture aeroportuali. Il versante meridionale della statale Triestina segna il confine di una zona agricola che gli strumenti urbanistici definiscono “vincolata”, nella quale cioè sono da escludere nuove opere e manufatti edilizi. A nord della statale il vincolo a destinazione agricola permane ma con prescrizioni meno rigide.

Il quadro urbanistico dell’area indica una condizione priva di particolari processi trasformativi. Se si esclude la zona impegnata dall’espansione dell’aeroporto, gli attuali usi agricoli sembrano destinati a permanere. Nessun progetto di rilievo o di presumibile prossima realizzazione è stato registrato dall’indagine.

La stessa struttura della proprietà agricola – caratterizzata da appezzamenti di piccola e media dimensione – favorisce una quieta conduzione da parte dei titolari dei fondi, che integrano i proventi di tale attività con redditi di altra natura e non sembrano manifestare particolari propensioni imprenditoriali.

Gli interessi consolidati non appaiono tuttavia irremovibili. Non dovrebbero esserci grossi ostacoli per iniziative capaci di promuovere processi di forte valorizzazione fondiaria, i quali, al contrario, troverebbero forti difficoltà nell’area, di 80 ettari circa, posta lungo il fronte lagunare, e per questa sua posizione soggetta a numerosi vincoli di tutela ambientale.

Nel polo industriale di Marghera di fatto non esistono aree di grandi dimensioni libere o presumibilmente disponibili a tempi medio-brevi.

Precedenti previsioni che indicavano come prossimo il rilascio di numerose aree da parte delle società proprietarie, sono state smentite. Si pensi ai casi della Montedipe, della Nuova Sirma, della Aluminia, della Sava Fu, oppure alle aree ex Abibes, dismesse come sede di impianti industriali ma già destinate ad altri usi, oppure alle ex Sarom, per le quali già esiste un progetto di riuso elaborato dalla proprietà.

Due sole aree appaiono in condizioni di effettiva disponibilità. Ma anche per queste la situazione reale contrasta con l’apparenza.

La prima area, di circa 35 ettari, tra la strada consortile e la provinciale per Fusina, di proprietà di aziende facenti capo alla Montedison, coincide in maniera pressoché assoluta con il sedime dell’elettrodotto che dalla centrale termoelettrica Enel di Fusina distribuisce energia a buona parte del Veneto. Per di più sulla zona gravano vincoli ambientali particolarmente rigidi e di complesso trattamento in sede di nuovi progetti di intervento.

L’unica area realmente libera da gravami, usi e servitù’ di vario tipo torna ad essere quella, celebre nelle cronache recenti dell’urbanistica veneziana, corrispondente ai 43 ettari di terreno incolto di proprietà del Consorzio obbligatorio per la zona industriale. Ma anche in questo caso, come spesso accade nei comprensori industriali, complicate vicende legate alla titolarità dell’area rendono problematici i processi di riuso. Ipoteche, commissariamenti del Consorzio, stime altissime del valore fondiario, aste andate deserte fanno ritenere che, al di là delle dimensioni comunque inferiori della metà a quelle richieste, nessun progetto interessato all’area avrà vita facile.

In ultimo, e l’osservazione non sembri banale, va ricordato che Porto Marghera è uno degli esempi italiani più autentici di “industrial landscape”. I nuovi interventi dovranno farsi largo e coesistere con depositi, ciminiere, opifici, cisterne, gru, tralicci dell’alta tensione, bacini di carenaggio. Le nuove attività dovranno trovare un proprio equilibrio nei ritmi e nelle modalità proprie di ogni insediamento ad altissima concentrazione industriale. Non è detto che ciò sia impossibile, ma se, come appare presumibile, Porto Marghera è destinato a conservare il suo carattere tradizionale, è opportuno valutare con molta attenzione, al momento della decisione di nuovi insediamenti, le reciproche compatibilità.

La Cassa di colmata A, pensata in origine come sede dell’espansione meridionale delle strutture portuali, è il risultato delle opere di imbonimento di circa 160 ettari di tipico ambiente lagunare. Situata all’interno dei confini comunali di Mira, l’area vive in una condizione di attesa.

Vincolata da numerosi provvedimenti a sede della nuova sezione commerciale del porto di Venezia, per molto tempo nessun fatto concreto ha dato seguito a tali enunciazioni. Intorno alla metà degli anni Ottanta accadono alcuni fatti importanti. Nel 1984, il Provveditorato al Porto elabora un progetto per collocarvi un terminal di rinfuse secche, dal costo stimato in circa 80 miliardi, che l’anno seguente riceve un finanziamento Fio di 40 miliardi. In un documento del 1988 il Provveditorato promette di impiegare tali fondi per realizzare, sempre in colmata A, un Centro intermodale integrato con l’interporto di Padova. La scelta non è condivisa dall’amministrazione comunale di Mira, che nel nuovo piano regolatore, paventando ulteriori aggravi dei problemi di traffico, suggerisce per la colmata A impieghi d’altra natura. La Commissione tecnica regionale respinge la proposta, riconfermando in maniera inequivocabile le scelte compiute.

Il destino della cassa di colmata A sembra dunque essere stato definito. Tuttavia, resta il fatto che ad oggi nessun cantiere è stato aperto. Ciò si può in parte giustificare con motivazioni tecniche, probabilmente non le più influenti ma nemmeno da trascurare. Va infatti notato che la dotazione infrastrutturale dell’area è nulla. Manca ogni cosa e gli allacci alle reti esistenti richiedono, nonostante la prossimità delle adduzioni, investimenti elevati a causa della natura artificiale del terreno. Entità delle opere di protezione idraulica è ovviamente molto consistente, così come la dimensione dei raccordi stradali che la nuova struttura Impone. E’ questo un aspetto di solito trascurato, ma a torto. Se infatti si osserva la cartografia, è immediato notare che nei pressi dell’area si estendono 40 ettari di proprietà militare, ovvero il sedime della caserma del corpo dei Lagunari. E’ una struttura pienamente operativa, della quale non vi è prova di una prossima o remota dismissione, una barriera fisica, registrata e vincolata agli usi attuali dal Prg di Mira, che In pratica blocca ogni accesso diretto via terra all’area di Colmata A

Il tratto terminale dell’idrovia Padova Venezia presenta una condizione di non facile lettura.

Se si prende In esame il comprensorio delimitato dal bordo lagunare, dal Naviglio Brenta, dalle distese a seminativo lungo il corso dell’idrovia, non è impossibile individuare aree sufficientemente libere e dalle dimensioni non inferiori al 100 ettari richiesti. Né gli assetti proprietari, né l’uso del suolo, né il regime del vincoli sembrano essere irrimediabilmente inconciliabili con operazioni edilizie di vasta dimensione.

Le perplessità maggiori derivano piuttosto dalle pesanti condizioni di congestione di cui soffre la viabilità della zona, e soprattutto sono provocate dall’incertezza sui destini futuri dell’idrovia.

I segnali registrati in proposito sono contraddittori. Gli strumenti di pianificazione d’area vasta attribuiscono grande importanza al completamente dell’opera. la regione ha chiesto e ottenuto un finanziamento Fio d’importo pari a 14 miliardi, ma la previsioni stimano a 80 miliardi la cifra necessaria per chiudere i lavori. Di conseguenza, con gli stanziamenti disponibili si potrà realizzare solo il tratto da Padova al Brenta.

D’altra parte, l’amministrazione comunale di Mira, il comune più direttamente investito dalla vicenda, all’interno del nuovo piano regolatore indica un tracciato dell’idrovia che è difforme da quello previsto nel progetto regionale. Preoccupata dal traffico veicolare, l’amministrazione mirese arriva inoltre a proporre, nel caso in cui l’idrovia non venisse realizzata, la riconversione delle opere già compiute in un’arteria a scorrimento veloce.

Da non trascurare sono infine le difficoltà che potrebbero derivare, come sempre accade in simili circostanze, dalla messa in liquidazione del consorzio che aveva provveduto alla realizzazione dei primi tratti dell’idrovia. Richiesta con un decreto regionale del 1988, la soppressione del consorzio è, da parte della regione, un’esplicita rivendicazione del ruolo di principale soggetto delle future vicende dell’idrovia.

Con le “Aree della metropolitana”, la ricerca si fa più incerta. Le varie proposte sono ancora di larga massima e le Indicazioni relative ai tracciati o non esistono come nel caso del progetto dello studio Tecnomare, che rimanda il problema agli studi di fattibilità tecnica – oppure sono lasciate volutamente allo stato di primi suggerimenti di massima. Questo è quanto risulta dall’ipotesi presentata nel Piano regionale dei trasporti e dal progetto elaborato dal Consorzio Trasporti Veneziano. Le indicazioni più precise sono contenute nei progetti Intermetro e Mar, ma in queste proposte l’identificazione del tracciato ha più la funzione di argomento a sostegno della tesi presentata che il significato di soluzione tecnica definitiva.

Il “problema metropolitana” comunque esiste, se ben cinque autorevoli soggetti si candidano a porvi rimedio. Dal nostro particolare punto di vista, le aree prossime al possibile tracciato della metropolitana conservano tuttavia un certo interesse se si accetta di restringere la ricerca al limite inferiore del campo di oscillazione dimensionale. Concentrando l’analisi all’unica area su cui le varie proposte sembrano convenire, non si può che registrare l’indisponibilità di aree libere di grandi dimensioni. Nel quadrilatero compreso tra la ferrovia Mestre-Adria, il canale Lusore e il raccordo Romea-Tangenziale, di complessivi 200 ettari di superficie, si hanno due sole porzioni libere: la prima di 40 – 50 ettari, la seconda di- 60. Ambedue coltivate a seminativi, sono peraltro attraversate da elettrodotti aerei ad alta tensione.