VeneziAltrove – Almanacco della presenza veneziana nel mondo

introduce

Marino Folin

Fondazione Venezia 2000

Il bilancio di un’iniziativa

Giuseppe de Rita

Fondazione Venezia 2000

presenta l’Almanacco 2011

Fabio Isman

ne discutono

Renata Codello

Soprintendenza per i Beni Architettonici
e Paesaggistici di Venezia e laguna


Gianmatteo Caputo

Direzione promozione beni culturali Patriarcato di Venezia

Giandomenico Romanelli

Chorus Venezia

Dieci anni di VeneziAltrove

di Fabio Isman

Per dieci anni VeneziAltrove, Almanacco della presenza italiana nel mondo, ha raccontato quanto delle realizzazioni d’arte e cultura prodotte nei secoli in laguna ha lasciato la città. L’idea è stata di Giuseppe De Rita, allora presidente della Fondazione Venezia 2000 che ha continuato a realizzarla negli anni, in collaborazione con la Fondazione di Venezia. Fino all’anno scorso, VeneziAltrove è stata edita da Marsilio, ma da quest’anno, è disponibile anche in versione on line.

In dieci anni, interessanti scoperte e rivalutazioni: in città, restano appena 22 opere, di quelle che Marcantonio Michiel ha segnalato nel Cinquecento, e un solo dipinto tra i 20 che Antonello da Messina realizza nei suoi forse 13 mesi all’ombra di San Marco.

Come è nato il nome del baccalà; quali balconi della città Isabella Stewart Gardner si è portata nel suo museo a Boston; come sono state svendute 70 tra le almeno 300 collezioni che esistevano.

Grazie ad Augusto Gentili (fedele collaboratore come altri studiosi, tra cui Irene Favaretto, Stefania Mason, Marino Zorzi, Linda Borean, Gino Benzoni e, per la musica, Sandro Cappelletto), VeneziAltrove è giunta a un passo dalla soluzione di un mistero dell’arte: dare un nome al Cavaliere Thyssen di Vittore Carpaccio; ha scoperto un Tiziano già Barbarigo, che si credeva perduto dopo la vendita in Russia, e un altro che era stato dimenticato in un bagno a Londra; ha pubblicato per prima importanti carteggi. Oggi, VeneziAltrove è un riferimento per gli studiosi, ma anche per il pubblico che crede nelle curiosità: il più valido motore di ricerca, Google, elenca 6.440 siti che ne citano il nome; per limitarci a un solo esempio, l’ultimo numero del prestigioso Burlington Magazine lo assume come fonte in uno studio tizianesco, di Antonio Mazzotta.

L’Almanacco ha riscoperto musicisti veneziani, a loro tempo celebrati ma ormai dimenticati (come Giovanni Antonio Rigatti, vissuto nella prima metà del Seicento); ha narrato come sono passate in laguna, prima di finire a Londra, i 90 dipinti e le 200 sculture dei Gonzaga; ha lanciato l’idea di un “Indice delle provenienze” dei dipinti veneziani.

Negli ultimi cinque anni, VeneziAltrove si è data forma monografica, indagando i rapporti tra la Serenissima ed altre grandi capitali, o Paesi: dopo San Pietroburgo, Istanbul, Vienna e l’Est europeo, questo numero è dedicato a Londra. Gli inglesi, che hanno quasi “venerato” Palladio, ne hanno perfino “rubato” il volto; non esiste un suo ritratto certo, e quelli tradizionali sono appunto frutto di una falsificazione britannica, come chiarisce Guido Beltramini; il servizio di spie ha fatto arrivare a Venezia le lettere d’amore della regina Elisabetta (s’intende la prima) a un nobile francese; i Residenti britannici erano il fulcro dei commerci d’arte, e uno di loro si fa perfino “ritagliare” un dipinto di Tiepolo, racconta Rosella Lauber, ricavandone una tela con un piccione, che gli piaceva tanto; ed Haendel giunge in laguna alla ricerca di cantanti castrati.

Tra calli e rii, gli inglesi non mirano solo ai grandi capolavori, ma si rifanno perfino l’arredo: tra Otto e Novecento, comperano infatti un’infinità di cassapanche, comò e sedie, oltre, s’intende, “ai ricordini” che già allora andavano di moda.