Venezia nella rete

Indice

Venezia nella rete

Gianni Dominici

  • Una riflessione avviata cinque anni fa
  • Il territorio come contenitore o come sistema?
  • Venezia Città digitale
    • Le imprese cercano connettività
    • Venezia nella rete
  • Prime conclusioni per il dibattito

Interventi

Stefano Micelli

Venice International University

Ferdinando Azzariti

Salone di Impresa

Michele Vianello

Vice Sindaco Città di Venezia

Lorenzo Cinotti

Venezia da Vivere

Luca Baldin

Chorus Associazione Chiese di Venezia

Francesco Sbetti

AgendaVenezia

Antonio Paruzzolo

Thetis

Marco Bonel

Faber Advertising

Note conclusive

Giuseppe De Rita

Fondazione Venezia 2000

Il testo della ricerca e degli interventi sono stati raccolti nel corso del
convegno promosso dalla Fondazione Venezia 2000 Venezia nella
rete, 25 giugno 2008, e sono stati elaborati dalla redazione.

Una riflessione avviata cinque anni fa [[<*> A cura di Gianni Dominici, sociologo dell’innovazione, Vice-direttore generale di ForumPA.]]

Il presente lavoro scaturisce da una riflessione avviata dalla
Fondazione Venezia 2000 cinque anni fa con un documento
presentato a un seminario a cui, tra gli altri, parteciparono
Giuseppe De Rita e Renato Brunetta e che si interrogava su
quali fossero i modelli più appropriati per riavviare la crescita
del territorio e della città di Venezia, nel particolare.
Scrivemmo in quella occasione1: le difficoltà dell’area non
discendono semplicemente dalla metabolizzazione delle dinamiche
mondiali in corso, ma anche da processi strutturali che
implicano la messa in discussione del modello di sviluppo fino
ad oggi preminente. Per quanto riguarda il territorio del nordest
non emerge, dai documenti di ricerca presi in esame, una
specificità in merito alla diffusione delle nuove tecnologie. Le
imprese e i distretti del nordest sono usciti quasi del tutto illesi
dallo sgonfiamento della bolla della new economy avendo
sempre mantenuto un approccio distaccato e laico nei confronti
delle speculazioni passate. Un distacco e uno scetticismo che
però rimane tuttora, quando invece dall’intreccio tra nuova e
vecchia economia potrebbero nascere nuove occasioni di sviluppo
e di competitività.

I dati presi in esame nel testo descrivono la diffusione e l’atteggiamento
nei confronti dell’ICT nei diversi sottosettori: le
imprese, i distretti, la pubblica amministrazione e le famiglie.
Vi si evidenzia una generale propensione positiva nei confronti delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma senza che
queste siano state usate per elaborare nuovi comportamenti o
per ridefinire le strutture organizzative aziendali e territoriali.

Le imprese del nordest utilizzano internet e le nuove tecnologie
in una logica di primo livello, innovando e rinnovando la
dotazione aziendale e i processi produttivi, ma senza avventurarsi
in soluzioni più avanzate che risponderebbero ad una
logica di networking. La condivisione delle informazioni e delle
competenze con le altre aziende del territorio, iniziative che
permetterebbero di riprodurre il capitale umano normalmente
concentrato nelle imprese famigliari, spaventa gli imprenditori
che hanno paura di perdere autonomia e competitività. La crisi
economica sembra aver esasperato questo atteggiamento portando
gli imprenditori, piuttosto che a mettere a punto iniziative
di collaborazione, a rinserrarsi in azienda con un atteggiamento
difensivo e sospettoso. Anche laddove si sono avviati
processi di delocalizzazione, le nuove tecnologie vengono utilizzate
per comunicare fra le diverse sedi ma non per riorganizzare
l’azienda in una forma reticolare e collaborativa.

Analoghe considerazioni si possono fare se si guarda alle
aziende in una logica distrettuale. All’interno dei distretti, raramente
le nuove tecnologie sono state utilizzate per fare sistema,
per connettere le imprese tra loro e tra loro e il sistema internazionale.
Eppure, nella logica di internalizzazione, le reti di
imprese permetterebbero alle piccole realtà di andare oltre la
propria dimensione e di assumere un ruolo anche all’estero.
Salvo alcune esperienze, anche di rilievo, all’interno dei distretti,
anche di quelli più consolidati, le strategie comuni di sviluppo
delle tecnologie di rete sono davvero poche.

Un ruolo nuovo lo stanno invece assumendo le pubbliche
amministrazioni, e quelle del nordest si evidenziano fra quelle
maggiormente attive. Il piano di digitalizzazione delle istituzioni
locali è oramai un processo avviato da diversi anni, che ha
trovato le pubbliche amministrazioni disponibili in una prospettiva
di riscatto dai vincoli burocratici. L’Italia dei comuni
(anche piccoli), delle province e delle regioni si è fatta, in gran parte del paese, promotrice di un utilizzo avanzato di internet
in una logica di comunicazione istituzionale e di servizio ai cittadini
e alle imprese. I diversi enti locali del nordest hanno guadagnato
una buona posizione per i servizi offerti on line anche
se, anche in questo caso, la lacuna maggiore si riscontra nella
mancanza di iniziative di animazione del territorio e di coinvolgimento
degli attori locali. Il networking territoriale viene
anche in questo caso tradito in nome di un processo di digitalizzazione
orientato a soddisfare i bisogni primari di efficienza,
di trasparenza e di qualità dei servizi in grado di portare le
nostre pubbliche amministrazioni ai livelli europei di riferimento.

L’atteggiamento contraddittorio nei confronti dell’innovazione
è riscontrabile, infine, anche in merito alla domanda delle
famiglie. Le famiglie del triveneto sono i più grandi consumatori
di tecnologia: prime, in Italia, per presenza di videoregistratori
in famiglia, di videodischi e lettori di Cd Rom ma, soprattutto,
prime in quanto a diffusione di personal computer. Se
poi, però, si prende in considerazione un altro indicatore, quello
relativo alla diffusione delle carte di credito, risulta evidente
che la fiducia verso il nuovo, specialmente quando implica
l’adozione di nuovi comportamenti e abitudini, risulta limitata.
In quale contesto si esplica questo atteggiamento difensivo
nei confronti della tecnologia? L’introduzione dell’euro ha
determinato la fine di un approccio teso a recuperare competitività
tramite la svalutazione della moneta. Il declino demografico
continua ad erodere la forza lavoro futura, per cui fra due
decenni sarà impossibile assicurare il ricambio generazionale.
La dotazione infrastrutturale rimane carente su un territorio
saturo che non è più in grado di offrire ospitalità a nuovi insediamenti.

La concorrenza mondiale, sempre più serrata, impone
una presenza ed un ruolo a livello internazionale.
Nell’area nordestina, le reazioni a questi processi sono visibili
e, in parte, già avviate: i flussi migratori sono consistenti e
in grado, almeno in parte, di rispondere alla domanda di lavoro;
il capitale individuale, una volta particolarmente carente, è in grado di essere incrementato da una diffusa e crescente
attenzione nei confronti dell’istruzione dei più giovani; le
nuove tecnologie potrebbero favorire la diffusione di una logica
relazionale e aiutare a connettere le imprese all’interno del
distretto e tra questo e i circuiti internazionali.

Affinché ciò avvenga è necessario individuare quali soggetti
potranno essere i nuovi driver dello sviluppo in grado di sollecitare
la piccola e media impresa, flessibile per definizione, che
ha però dimostrato di non essere in grado di mettersi in discussione,
di accettare il rischio di una riorganizzazione. Significa
guardare alla grande impresa leader che è l’unica, attualmente,
ad utilizzare le tecnologie di rete per alimentare un nuovo sistema
relazionale, nella consapevolezza che un uso condiviso della
conoscenza può accrescere la competitività su base distrettuale,
e rafforzare la specializzazione territoriale di ciascuna economia
locale. Così facendo la grande impresa contagia il tessuto
imprenditoriale di riferimento, determinando le scelte di
adozione delle tecnologie sia della catena dei fornitori e subfornitori
che dei clienti. Significa guardare alle imprese a rete, il
porto e l’aeroporto, che sono le uniche in grado di fare da software
di connessione tra le diverse soggettualità locali, capitalizzando
la loro centralità logistica. Significa guardare all’università
che, insieme al parco scientifico e tecnologico, possono fare
da concentratori e da diffusori della conoscenza, da knowledge
hub territoriali riproducendo, così, il capitale umano normalmente
concentrato e parcellizzato nelle singole imprese. E infine
significa guardare alla grande città, in quanto istituzione
locale, nodo di scambio fra la cultura locale e quella internazionale
ma, soprattutto, luogo di sperimentazione di nuovi strumenti
di comunicazione e di fornitura di servizi.

Affinché ciò avvenga, è necessario far anche sì che le singole
iniziative s’innalzino a sistema prendendo in debita considerazione
le diverse dimensioni del cambiamento in atto. Si
potrebbe prendere spunto dal teorema del provocatorio
Richard Florida, puntando sulle tre T che garantiscono lo sviluppo:
tecnologia, in una logica di networking; talento, fatto di capitale individuale, di competenze e di propensione all’innovazione;
tolleranza, che garantisce al territorio e all’impresa la
necessaria apertura verso la diversità culturale, organizzativa e
produttiva e che significa, nel caso del nordest, integrazione
lavorativa, sociale e culturale degli immigrati, risorsa strategica
dei sistemi produttivi e sociali in atto in quest’area.
In sintesi, cinque anni fa, concludemmo mettendo in evidenza
la necessità per le imprese del nordest di mettersi in discussione
accettando il rischio di una riorganizzazione che dia centralità
al capitale sociale e individuale tramite una politica di
inclusione e internazionalizzazione.