Volume: Venezia 2000 idee e progetti

L’inizio della partita

Qualche anno fa è stato bocciato, a causa delle forti resistenze incontrate, il progetto dell’Expo 2000 a Venezia. Se certamente nessuno si aspettava un totale e incondizionato apprezzamento e appoggio di questa proposta da parte di tutti, a causa della sua indubbia complessità, tuttavia bisogna anche ammettere che non si pensava neppure a resistenze e ostracismi tanto veementi e radicali. Il progetto dell’Expo 2000, d’altra parte, aveva come scopo solo quello di reagire contro una sorta di apatia e di pericolosa passività che sembra aver investito, ormai da qualche tempo, alcune élite veneziane. Si trattava di un tentativo di risvegliare Venezia dal torpore nel quale appare essere caduta, che la vuole sempre più «città-museo», a salvaguardia dell’esistente, piuttosto che come luogo referenziale e competitivo del nord-est italiano. Le novità spaventano sempre, è risaputo, soprattutto poi se riguardano un luogo ormai «mitico» com’è considerata questa città dall’immaginario collettivo. Ma queste resistenze rischiano di far imboccare a Venezia una strada senza via d’uscita.

Tuttavia se per secoli la Repubblica veneziana ha rappresentato non solo una ricca e fiorente città, di grande potenza, di traffici, di cultura, ma anche – fatto ben più importante – un vero e proprio sottosistema territoriale, esteso da Crema sino al mare, dagli altopiani e dalle montagne sino al delta dell’Adige e del Po, oggi la situazione si è drammaticamente trasformata.

Un tempo, ormai sempre più lontano, questo sottosistema territoriale costituiva una struttura vitale, ove le singole parti erano tutte interrelate tra loro e funzionanti all’interno di un insieme che faceva capo a Venezia, centro motore e punto referenziale per eccellenza.
Purtroppo il processo storico ha voluto che questa sorta di ecosistema integrato e vitale della regione veneta si rompesse, determinando il graduale ma inarrestabile isolamento della Serenissima dal resto del nord-est. Suo destino è stato così quello di ripiegarsi sempre più su se stessa, diventando città autoreferenziata per eccellenza, luogo sempre più usato dai visitatori, ma sempre meno capace di una reale leadership. D’altra parte, invece, il retroterra lombardo-veneto ha spiccato il volo sulla scena nazionale e internazionale, modello di sviluppo economico e concorrenziale, facente riferimento a centri intermedi, come Verona, Vicenza, Padova, e piccoli, come Schio, Valdagno, Montebelluna…

Questa struttura territoriale articolata e policentrica fortemente in crescita tende ad allontanarsi e a prescindere da Venezia, che preferisce vivere delle sue glorie passate senza aver avuto la forza 01 forse, la volontà di adeguarsi alla realtà in continuo e rapido mutamento, reinventando se stessa e la sua identità.

Questa, in breve, la situazione attuale del nord-est italiano, con il suo carico di complessità e di problemi, determinati sia dalle esigenze interne e nazionali sia dal processo di internazionalizzazione oggi in corso (processo di sviluppo dell’Europa orientale, processo d’integrazione dell’Europa occidentale come risultato della vitalità dei grandi «bacini» territoriali che si vanno sviluppando in Europa, processo innestato dal crescente interesse verso il Medio ed Estremo Oriente … )
Mai come oggi, quindi, sarebbe necessario e urgente trovare soluzioni valide ed efficaci a questi nuovi e pressanti problemi, in modo che Venezia e il Veneto tornino a essere il sottosistema integrato e unitario di un tempo. Ma perché ciò sia possibile è indispensabile che vi sia una lucida consapevolezza della situazione da affrontare, della sua articolata complessità, sostenuta da un’altrettanto forte carica di intenzionalità, di volontà di «fare», che sembra essere esattamente il contrario dell’atteggiamento di ordinaria passività ormai assunto da certe classi veneziane.

Se l’Expo 2000 è fallito, capitolo chiuso appartenente al passato, tuttavia i problemi rimangono, sempre più urgenti, e chiedono che venga loro prestata la dovuta attenzione. Non è ancora troppo tardi per un costruttivo confronto atto a stabilire cosa sia ma in passato,’nelle proposte presentate, così da poter creare solide basi per nuove riflessioni future.

Un’analisi attenta e puntuale dei motivi che possono essere,stati all’origine del,fallimento del expo 2000 è indispensabile per, intraprendere ogni altra iniziativa in futuro.

Bisogna guardare in avanti ma sempre tenendo conto del nostro passato, degli: errori commessi, delle -difficoltà. incontrate. Porsi in maniera critica nel confronti delle esperienze vissute rappresenta un modo efficace e costruttivo per prepararsi a vivere il presente e per affrontare il futuro.

Dal confronto sicuramente nessuno ne è uscito senza colpa alcuna.
In. particolare non si e riusciti a precisare in termini,chiari e diretti, lontani da possibili fraintendimento, quali fossero gli scopi, le intenzioni e le modalità di procedimento del progetto. Non è compito facile presentare un’idea, rendendola in tutta la sua eterogenea complessità a diversi soggetti sociali che per loro natura tendono ad essere: più diffidenti che bendisposti ad accogliere le novità. Così nel. confronto le manchevolezze ci sono state da entrambe le parti.Dalla nostra non siamo forse stati capaci di far comprendere che l’Expo. non si limitava ad essere una fiera di.qualche mese, ossia che non aveva la natura «episodica» e caotica di altre iniziative, ma che, a di un timo passo in un processo ben più articolato invece, e onnicomprensivo di dotazione di infrastrutture di un’area di indubbio valore strategico.valore strategico.
Inoltre non siamo stati capaci di far vedere alla classe dirigente veneziana, rispecchiati nel progetto, i problemi interni della città, alla ricerca di un proprio equilibrio. Infine è mancata la capacità di comunicare all’opinione pubblica quale carica di nuova cultura, quale potenzialità, era racchiusa in, quest’idea.

D’altro canto gli interlocutori nel confronto hanno mostrato ben poca disponibilità, finendo per, arroccarsi sulle loro posizioni più per ragioni di principio che per reali motivazioni, forti del fatto che è più semplice demolire proposte altrui che elaborarne di proprie.

Ma queste diatribe non aiutano certamente a trovare soluzioni per problemi reali e sempre più pressanti, che affliggono il capoluogo veneto e il suo ormai deteriorato rapporto con tutta la regione.Paura del nuovo, morboso attaccamento ai miti del passato, finiscono per insterilire ogni tentativo di discussione, per renderlo del tutto sovrastrutturale rispetto alla concretezza della realtà e delle sue esigenze.
Si rende indispensabile superare l’orgoglio culturale delle proprie posizioni per chiarire invece le polarità culturali di fondo, oggetto di discussione e di incomprensioni.

Innanzitutto la distinzione tra «integrazione sottosistemica» di Venezia e il Veneto e una cultura del «policentrismo insulare». «Policentrismo» che tende sempre più ad accentuare settorializzazioni e campanilismi tra le diverse isole, chiuse in se stesse e rivolte ai propri interessi, senza che vi sia una reale integrazione del sistema, in rapporto a Venezia, come era in passato.

Altra polarità è rappresentata da una cultura della «globalità dell’approccio» e una cultura centrata su «approcci monosettoriali», incapaci di dare senso e risposte adeguate a un insieme di problemi su scala nazionale e internazionale.

Terza bipolarità da sottolineare sta nella contrapposizione tra «monitoraggio nazionalizzante» e una cultura della «protezione della fragilità». Non c’è dubbio infatti che il caso veneziano richieda una particolare politica protettiva, data la sua fragilità e il suo delicato equilibrio ambientale, sociale e culturale. Ed è anche evidente che quest’ansia protettiva, che si è andata consolidando in questi ultimi decenni, tende ad essere in netto contrasto con il processo di internazionalizzazione e di rinnovamento che coinvolgono la regione e la città. Tuttavia lasciarsi prendere dall’eccessiva ansia di conservare per proteggere, di non-cambiamento a oltranza, di paura verso ogni tipo di novità, finisce per fossilizzare ogni dinamica storica e sociale, bocciando ogni possibilità innovativo e soffocando la città nel più sterile immobilismo.
Infine va detto che il monitoraggio continuato di una grande area sottosistemica e a forte integrazione settoriale, richiede evidentemente che del futuro di Venezia e del Veneto si rendano responsabili e partecipa diversi soggetti, imprenditoriali e associativi, pubblici e privati, nazionali e locali, i quali devono imparare a lavorare insieme nella ricerca di soluzioni comuni.
In questa prospettiva andava inquadrato il progetto dell’Expo 2000, come tentativo di coagulare diverse forze, con la ferma volontà di «agire», di trovare risposte ai problemi, di intervenire, contro il rigido atteggiamento di «attesa senza evento», di volersi affidare fatalisticamente allo svolgersi quotidiano delle cose. Ovviamente l’intenzionalità da sola non basta, è necessario il dibattito, il confronto, ma che sia un confronto costruttivo, aperto, tra diversi soggetti interessati e disposti a capire le intenzioni dei loro interlocutori e ad accettare anche posizioni «altre» rispetto alle loro.
Il ragionamento, che aveva determinato il lavoro di ideazione e programmazione dell’Esposizione Universale in Veneto e a Venezia dell’anno 2000, ha seguito alcune scelte di fondo che meritano di essere esaminate, seppur brevemente, come eventuale punto di partenza propositivo per progetti futuri.

La prima di queste scelte è certamente quella di natura più critica, di considerare cioè l’Expo come evento di provocazione a una lunga fase di impegno culturale e operativo in favore di tutta l’area
nord-orientale del paese.

Malgrado tale scelta abbia suscitato moltissime resistenze per i rischi che essa si pensava potesse evocare (cadere nell’e mero, provocare solo eventi spettacolari, esasperare la dimensione turistica dell’area … ), tuttavia non è stato giusto considerarla una scelta del tutto negativa, Ciò perché non è possibile parlare di sincera volontà intenzionale di «fare» – se non si vuole restare nel generico – senza cercare un’occasione che serva a concretizzare l’insieme di decisioni, impegni, finanziamenti che tale lavoro implicherebbe inevitabilmente. In mancanza di un punto fermo, reale, quasi tangibile nel tempo e nello spazio, che sia una testimonianza del lavoro svolto, si rischia di rimanere in sospeso, nell’ambito aleatorio.

Inoltre l’Expo ha rappresentato il primo passo verso un’internazionalizzazione mirata e sempre più attuale.
Infine non va dimenticato che questo evento avrebbe suscitato una profonda scossa nell’immaginario collettivo fattore indispensabile se si vuole puntare sulla mobilitazione di tanti soggetti diversi e sulla loro partecipazione al progetto di trasformazione del nord-est.
In questa prospettiva si sarebbe voluto fare di Venezia e del Veneto un modello paradigmatico di raggiunto equilibrio, proprio a dispetto delle enormi difficoltà che questa area presentava. Equilibrio vitale – sfida per tutto il mondo – raggiunto con intelligenza e con volontà di tutti, per restituire a Venezia e al Veneto una spinta concreta di crescita e per lanciare un messaggio a livello internazionale.

E’stato detto che l’Expo 2000 avrebbe dovuto rappresentare un’occasione di nazionalizzazione, il cui obiettivo principale era quello di fare del Veneto e di Venezia un «laboratorio di equilibrio vitale su un sistema policentrico». Cosa si è voluto dire con questo?
Si è trattato di una sfida resa ancora più stimolante perché intrapresa in un territorio che – per le sue caratteristiche precipue di tipo sociale, fisico e culturale – presentava diversi nodi critici da dover districare.
«Fare laboratorio di equilibrio vitale su un sistema policentrico» significava in definitiva affrontare le esigenze di una regione particolare com’è quella veneta. Un’area – questa – che ha subito profondi cambiamenti, dovuti a radicali spinte innovativi e concorrenziali, a un processo di congiunzioni che l’ha resa sempre più all’avanguardia.
Tale fenomeno è il risultato di una compresenza interessante di diverse isole produttive a varia specializzazione settoriale interconnesse tra loro e collocate su una sorta di asse ideale che passa per Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Treviso, Pordenone, Udine e Trieste.

Ciò ha fatto capire l’importanza del territorio come risorsa insostituibile, cui vanno applicati i canoni di razionalità economica propri di queste condizioni. Si è resa sempre più necessaria una linea d’intervento che agisca al fine di gestire i processi in atto in modo trasversale, coinvolgendo cioè ogni settore, dal sociale all’economico, dalla finanza all’industria.

In quest’ottica risulta fondamentale per il Veneto e Venezia il rapporto tra ambiente e sviluppo, oltre all’assetto e alla qualità dell’apparato infrastrutturale.

Urbanizzazione diffusa, localizzazione spesso incontrollata delle piccole e medie imprese, trasformazione agricola, sono solo alcuni ei fattori che costringono,a una politica ambientale seria e oculata.

In questo senso l’Expo si era posto come occasione di intraprendere quest’opera di nazionalizzazione territoriale, il cui impegno era tutto indirizzato a preparare il Veneto e Venezia allo sviluppo necessario per una crescita equilibrata del sistema socio-economico dell’intera regione.
Venezia tuttavia rappresenta la sfida più ardua nella ricerca di questo sviluppo armonico di nazionalizzazione territoriale, sia nei suoi rapporti con la laguna sia nei rapporti con il resto del nord-est che, avviato nella sua crescita costante, tende sempre più a separarsi dalla Serenissima, sia, infine, nei confronti della gronda e delle isole circostanti.

Come vedremo più avanti, punti chiave di questa difficile e delicata nazionalizzazione dell’ecosistema veneziano sono sia la questione degli accessi al centro storico lagunare sia la riorganizzazione del fronte urbano di terraferma nella zona ovest della città.

Tuttavia ogni tentativo di trovare soluzioni efficaci per risolvere la precarietà del rapporto fra la forma della città e sue funzioni è stato percepito come una minaccia alla tutela fisica della città, alla sua stessa identità. Da qui le resistenze e i muti ostracismi verso ogni politica urbana e verso ogni serio tentativo di nazionalizzazione territoriale, atto a ricreare quel difficile e delicato equilibrio tra i diversi elementi, indispensabile punto di partenza per una reale politica d’intervento.
Quanto sin qui è stato delineato a proposito dell’iniziativa dell’Expo 2000 ha voluto dimostrare che le scelte compiute allora e gli obiettivi che ci si era posti non erano solo stati il vano tentativo di un intervento effimero, nell’ansia fagocitante di «fare business», incuranti degli interessi di una città «speciale», qual è Venezia, e della sua regione.
La logica seguita non rispondeva al desiderio di mercificazione ulteriore dell’area, di un suo abbandono sconsiderato alle orde di turisti o al superficiale tentativo di creare un «evento-spettacolo». Al contrario la linea di ragionamento è stata dettata dalle esigenze concrete e reali legate ai problemi crescenti di un territorio che è stato a lungo oggetto di studio, di ricerca, di riflessione, non vittima di sconsiderata veemenza.
Mobilitazione di risorse finanziarie articolate, creazione di sinergie nuove e stimolanti, fare cultura d’impresa, cosicché l’intera area diventi «imprenditrice di se stessa» sono state le linee principali che il desiderio di fare, di agire, ha voluto seguire, per uscire dalla logica che preferisce vedere Venezia immutabile e morente o asservita al tumultuoso sviluppo dell’Italia orientale.

Il segreto sta nel riuscire a conservare la propria unicità, progettandosi per gli altri, affrontando il mondo, sempre in dinamico movimento, capaci di padroneggiare costruttivamente la realtà.
E’ la sfida massima da affrontare.L’Expo è stato un tentativo, fallito forse, superato ormai, di chi ha avuto voglia di fare, di chi non poteva e non può – ancor oggi – stare in un angolo a guardare. Ma i presupposti che lo hanno reso possibile, che ne hanno stimolato l’ideazione e la progettazione, gli obiettivi che si era posto, restano sempre più attuali, sempre più pressanti e non possono essere ignorati.