Volume: Capolinea a Nord-Est

Prefazione (di Renzo Piano)

Il tempo e l’acqua: ecco la combinazione di due elementi che rendono la bellezza di Venezia così straordinaria e unica, specie per le suggestioni di un architetto. Il tempo qui ha depositato una patina che avvolge tutti i palazzi, anche quei pochi che sono nati brutti e poi sono diventati belli con il passare dei secoli. Dico sempre che il primo handicap di un edificio nuovo, è proprio quello di essere nuovo: a Venezia, questo limite è stato ovunque superato dal tempo.

Quanto all’acqua, cambia aspetto continuamente, riflettendo e restituendo le immagini della città. Un giorno è liscia, l’indomani s’increspa e la laguna è protagonista di un eterno gioco di luci e di ombre. L’acqua mi attira sempre; e sempre la cerco nei miei progetti: nella nuova Postdamer Platz a Berlino ad esempio, e sono felice che attorno al suo specchio ci sia sempre gente.

Ma a tanta bellezza di Venezia corrispondono le relative fragilità e vulnerabilità. Ed è il motivo per il quale Venezia va protetta con intelligenza, senza cadere nella trappola delle ideologie. Ritengo, in tutta onestà, di avere seguito questa logica nelle occasioni durante le quali ho lavorato a Venezia. Il centro servizi nella zona dell’aeroporto di Tessera (il cosiddetto magnete), pensato in occasione della candidatura veneziana all’Expo del 2000, aveva una sua funzione strategica: difendere l’inviolabilità di Venezia senza isolarla. Esattamente come i parcheggi che si costruiscono nella cintura urbana delle altre città di terra, che di fatto proteggono l’integrità dei rispettivi centri storici.
La stessa idea di interventi di alleggerimento sul fragile territorio di Venezia, mi ha spinto a proporre, in occasione di un incarico delle Ferrovie dello Stato, il rafforzamento della stazione di Mestre e il corrispondente attenuamento di quella di Santa Lucia. Ancora una volta, ho pensato a una città che va protetta, ma non isolata. Un’idea fissa e coerente, applicata anche in occasione dei laboratori per le nuove tecnologie di manutenzione urbana che ho disegnato per conto dell’Unesco, a Burano. E, ora, per la sede della Fondazione Emilio Vedova, ai Magazzini del Sale, un progetto appena avviato.
Difendere il tessuto ambientale, dunque, ma non rinunciare allo sviluppo delle funzioni vitali della città: è il percorso lungo il quale si gioca il destino di Venezia.

Verso quale futuro? La risposta è scritta nel suo codice genetico: una città dove si incontrano e si scambiano, anche grazie alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, intelligenze, idee e saperi. Non parlo di un’utopia, ma di una cosa possibile, perfino in tempi ragionevoli. La laguna, nella combinazione di tempo e acqua, è un luogo ideale di concentrazione in un mondo nel quale sentiamo sempre più bisogno di silenzi, dopo i bombardamenti quotidiani di informazioni ai quali siamo sottoposti. D’altra parte il mio studio a Genova, così isolato dal centro urbano, appollaiato sul mare, riflette proprio questo desiderio di concentrazione. E la tecnologia mi permette, ogni giorno, di dialogare con la gente sparsa in tutti i continenti del mondo. Certo, per scommettere sulla città dell’immateriale è indispensabile fare delle scelte. E innanzitutto rendere compatibile questa funzione con il turismo antropofago che ogni giorno assale la laguna.

Non ho la presunzione di una ricetta magica, e capisco le difficoltà di un’amministrazione comunale che deve gestire un patrimonio così complesso. Però, resto convinto che vadano esplorate le diverse ipotesi di numero chiuso per i visitatori della laguna: soltanto così sarà possibile impedire che Venezia sia sempre più posseduta, e divorata.