Venezia Altrove: Almanacco della presenza veneziana nel mondo (1 – 2003)

Una vitalità così esplosiva che doveva tracimare altrove

Il vero rimedio alla diaspora: riannodarne i fili per ridare radici ai capolavori

Giuseppe De Rita

È il terzo anno che noi della Fondazione Venezia 2000 curiamo questo almanacco, tentando di dar conto di quanta cultura ed arte veneziana si sia, più o meno silenziosamente, sparsa nel mondo. Ed è il terzo anno che il mio non stimolantissimo esercizio di prefazione, si ritrova sorpreso, quasi sbigottito, di fronte alla vitalità della Venezia d’un tempo ed alla ricchezza della Venezia attualmente “altrove”.

Venezia d’un tempo era non solo una grande industria di produzione artistica ed un grande mercato d’arte, era un vero e proprio vulcano eruttivo, che riversava continuamente nel continente europeo libri, quadri, musiche strumentali, opere teatrali, e migliaia di oggetti di grande qualità. E tutta la società veneziana ruotava su questa enorme ricchezza creativa: sia sul versante della produzione e smercio delle opere d’arte, sia sul versante della sua fruizione, con i nobili ed i ricchi che creavano proprie collezioni e con la g ente comune che affollava i tanti teatri.

Chi leggerà i testi che seguono non potrà non restare colpito dalla vulcanica vitalità di Venezia in termini di produzione artistica, una vitalità fra l’altro molto indigena, non amando a quell’epoca i veneziani chi venisse ad occupare spazi. Dürer fu addirittura multato, perché aveva dipinto in città senza l’autorizzazione della corporazione locale (l’Arte dei pittori); e Caravaggio non riuscì ad entrare “nel giro” perché le sue creazioni erano considerate troppo “forestiere” per i canoni pittorici della comunità veneziana. Gli artisti erano quindi prevalentemente locali, o almeno erano legittimati dall’appartenenza; ma è sorprendente la loro “potenza di fuoco”, con una intensità di lavoro davvero straordinaria dei creativi, dei copisti, dei restauratori, con una potenza che veniva alimentata non solo dall’impeto artistico, ma da una dinamica mista di potere corporativo e di corsa libera al mercato, che forse sarebbe utile capire meglio e riproporre anche oggi in altri settori.

Ma la vitalità maggiore la si aveva sul versante mercantile, tanto che ne era condizionata la stessa composizione sociale della città. Altissima infatti era la percentuale di persone addette alle diverse funzioni di smercio, in un ricco e variegato panorama di “professionisti” di tali funzioni: mercanti; consulenti; agenti d’acquisto; mediatori; restauratori e riproduttori a stipendio; autenticatori; esportatori e trasportatori più o meno clandestini (fino alle «nobildame che portano Giorgione nella cappelliera»); sensali, banditori d’asta, informatori (specialmente apprezzati vetrai e barbieri, che meglio si intrufolavano nei palazzi), “bracchi”, persone cioè che andavano in giro a localizzare opere potenzialmente razziabili e vendibili; e, per finire, residenti stranieri e personale di consolato, che si occupavano di individuare ed inoltrare in patria i pezzi e/o le collezioni più importanti. E poi, più sommersi e più devianti professionisti quali saccheggiatori, spogliatori, lottizzatori, smembratori di quadri.

Ho compilato questo elenco di “figure professionali”, tutte rigorosamente citate nelle pagine che seguono, non per tentazioni di coloritura, ma perché esso dà un’idea di quanto il “mercato” fosse talmente vitale, anche perfidamente vitale, da alimentare quasi una vera e propria classe sociale. Sorridendo mi vien da pensare che nessun mondo della Venezia d’oggi riesce neppure alla lontana ad alimentare un sottinsieme di classe sociale così diversificato ed al tempo stesso omogeneo.

Perciò, di fronte alla dinamica centrifuga che ha disperso tanta parte dei beni artistici veneziani, si potrebbe citare la cinica frase «possiamo solo celebrare la festa di Santa Fine». Ma mi si passi la convinzione della necessità di prendere atto che la grande vitalità creativa della Venezia d’un tempo mai sarebbe stata contenibile ed ordinabile all’interno della città. Era così esplosiva che non poteva che tracimare “altrove”: più che una diaspora, c’è stato solo un fisiologico distendersi, nello spazio e nel tempo, di una irripetibile capacità produttiva.

Non attardiamoci quindi a vivere di rimpianti o di lutto da espoliazione; è più utile, come in piccolo tentiamo di fare noi con questo Almanacco, ricollegare i tanti beni veneziani sparsi per il mondo con le loro radici storiche, artistiche ed emozionali. È il modo migliore per averne contezza profonda, tirandoli fuori dalle nicchie di collezionismo o di musealizzazione in cui sono oggi collocate. Mi ha fatto impressione, rivedendo qui di seguito opere che avevo ammirato in musei o libri, la intima piacevole sorpresa di finalmente capirli, in base alla conoscenza della loro origine, della società in cui erano nate, dei loro pellegrinaggi proprietari e geografici. Ogni opera della diaspora va ricollegata alle sue radici, e questo è il modo giusto per vederla con occhi nuovi; se i lettori avranno la stessa mia piacevole emozione, vorrà dire che non abbiamo lavorato invano, o solo per noi stessi. Il «pour mon plaisir» lo lasciamo ai collezionisti.

| Pag. | Sommario / Contents |
| 7 | Il vero rimedio alla diaspora: riannodarne i fili per ridare radici ai capolavori |
| 11 | The best remedy for the diaspora: reconnecting the masterpieces to their roots |
| | Giuseppe De Rita |
| 15 | Monsignore, il catalogo delle vendite è questo (cronaca di una grande razzia) |
| 29 | My Lord, here is the sales catalog (chronicles of a total depredation) |
| | Fabio Isman |
| 47 | Breviario per una diaspora: in quali musei sono finiti i dipinti descritti da Michiel |
| 67 | Guidebook to a diaspora: which museums got the paintings described by Michiel |
| | Rosella Lauber |
| 85 | Come è nato e dove si è disperso il più grande patrimonio di codici e di libri al mondo |
| 97 | How the world’s largest heritage of codices and books was created and where it was dispersed |
| | Marino Zorzi |
| 109 | Dal 1743, ad oggi: le peripezie del più famoso violino costruito da Guarneri in laguna |
| 115 | Since 1743, the adventures of the most famous violin made by Guarneri in Venice |
| | Sandro Cappelletto |
| 123 | Forse, si può dare un nome al «Cavaliere Thyssen»; e questo è il suo contesto |
| 131 | Perhaps a name can be given to the “Thyssen Knight”; and this is his context |
| | intervista ad Augusto Gentili / an interview with Augusto Gentili |
| 141 | Come e perché la Serenissima non ha conosciuto la grande arte di Caravaggio |
| 149 | How and why the Serenissima did not experience the great art of Caravaggio |
| | Stefania Mason |
| 157 | Per soddisfare il suo “plaisir” l’eccentrica mistress ruba al canale anche i balconi |
| 167 | To satisfy her “plaisir” the eccentric Mistress steals the balconies from the canal |
| | Ketty Gottardo |