Il piano strategico di Venezia: quale struttura per la gestione

| Indice degli interventi durante l’incontro del 12/12/2003 |
| 1) Giuseppe De Rita |
| 2) Roberto D’Agostino |
| 3) Turiddo Pugliese |
| 4) Giuseppe De Rita |
| 5) Giuliano Segre |
| 6) Massimo Preite |
| 7) Fabio Taiti |
| 8) Antonio Preiti |
| 9) Dario De Simone |
| 10) Claudio Pancheri |
| 11) Giorgio Antoniacomi |
| 12) Roberto D’Agostino |
| 13) Turiddo Pugliese |
| 14) Giuseppe De Rita |

Gestire politiche e azioni strategiche

La riflessione sulle best practices utile per acquisire punti di riferimento, non può essere semplicemente indirizzata alla individuazione di esempi e formule di successo pronti ad essere riproposti, per essere utile deve tendere piuttosto all’esame delle condizioni che favoriscono determinate innovazioni e ne inibiscono altre.

In quest’ottica, più che ricostruire alcuni modelli di riferimento, appare opportuno analizzare il modo in cui i principali ingredienti delle politiche urbane, e cioè la creatività, l’innovazione, l’avanzamento culturale e la gestione dei processi, sono stati il frutto di sapienti combinazioni il cui risultato è quasi sempre da collegarsi alla capacità di rispondere alle condizioni di contesto e alla abilità specifica di adottare le innovazioni.

1. Quattro modelli strategici

Dopo essere stato lungamente monopolizzato dai temi riguardanti le strategie per la riconversione funzionale e la valorizzazione urbana, incentrate sulla competizione tra i sistemi metropolitani e sulla offerta di funzioni rare e appetibili, il dibattito più recente sembra volto alla individuazione degli elementi di maggiore interesse presenti nelle iniziative promosse dalle più grandi aree urbane.

Questo nuovo orientamento sembra il frutto della ormai acquisita consapevolezza che i processi di globalizzazione presuppongono un confronto e un antagonismo tra sistemi locali in cui il “plus competitivo” non viene più associato alla capacità di offrire localizzazioni pregiate a funzioni di rango superiore, quanto al tentativo di migliorare radicalmente l’attitudine a gestire le risorse disponibili con un impegno teso a enfatizzare la possibilità di riconnettere le politiche di settore all’interno di uno o più quadri di riferimento ad elevata integrazione.

Una evoluzione di questo tipo denuncia dunque la tendenza ad assegnare un ruolo sempre meno determinante alla scala e talvolta agli stessi contenuti specifici dei progetti di valorizzazione urbana che vengono proposti, mentre acquista per converso una accresciuta centralità l’adozione di nuovi modelli di governance, in cui il miglioramento del rendimento del settore pubblico è legato alla introduzione di pratiche finalizzate alla valutazione dei risultati ottenuti dai diversi interventi, dall’apprendimento di tecniche gestionali di tipo manageriale ed infine dal ricorso alla negoziazione per la costruzione di politiche urbane condivise.

Gli assi prioritari lungo i quali si sviluppa questa sperimentazione sono costituiti da:
i fattori culturali, ai quali si attribuisce una importanza determinante nel consentire l’interazione e la cooperazione tra i soggetti coinvolti nella trasformazione urbana;
i fattori soggettivi, che riguardano la formazione e il consolidamento della identità urbana, e che vengono ritenuti tanto più significativi, quanto più la promozione delle politiche pubbliche presuppone la visibilità e il prestigio di personalità in grado di catalizzare il consenso e l’operatività dei diversi soggetti;
i fattori comunicativi, legati alla divulgazione di progetti e programmi di intervento che, proprio in virtù di una immediata comprensibilità, sono conosciuti e presi in considerazione dai cittadini che, in questo modo, sono invitati a stabilire un dialogo serrato con l’amministrazione;
i fattori sinergici, che grazie alla integrazione tra iniziative e provvedimenti differenti riescono a migliorare la produttività degli investimenti che, nelle differenti situazioni, si rendono disponibili;
i fattori “materiali”, che in aggiunta alle condizioni richiamate in precedenza sono in molti casi indispensabili per migliorare l’efficacia delle politiche locali quando le carenze infrastrutturali del sistema insediativo e produttivo rischiano di ostacolare il conseguimento degli obiettivi “fissati” dalle diverse politiche.

A partire da questa scrematura dei caratteri più significativi di ciascun paradigma di intervento è possibile tentare una classificazione dei percorsi seguiti dalle principali aree urbane che evidenzi la prevalenza di uno o più fattori. In questo modo le best practices possono essere classificate evidenziando la presenza di uno o più fattori che ne hanno garantito in ultima analisi il successo, e che ne costituiscono la caratterizzazione preminente.

Il governo egemonico

Nel primo caso considerato l’accentuazione dei fattori “culturali” “soggettivi” e “comunicativi” corrispondono al profilo di una comunità locale in cui la promozione e poi l’attuazione delle strategie urbane si è affidata in larga misura alla capacità di leadership espressa da una personalità politica e/o da una ristretta elite.

I protagonisti di questo processo sono infatti, riusciti a far leva sulla linearità e sul carattere esemplare di alcuni contenuti del programma messo a punto dalle rispettive tecnostrutture per mobilitare una vasta porzione delle risorse localmente disponibili che spesso accettano di essere “messe in gioco” in virtù del rapporto fiduciario che si riesce a stabilire tra amministratori amministrati. A tale proposito il riferimento al ruolo svolto da Maragall a Barcellona, da Bassolino a Napoli o da De Luca a Salerno serve ad evidenziare come gli obiettivi prefissati sono stati ottenuti non solo grazie ad una sapiente organizzazione del processo di costruzione di scelte condivise, ma anche puntando sulla individuazione di forme efficaci di interazione sociale e sul coinvolgimento degli attori mediante l’impiego di tecniche innovative di comunicazione. Alcune applicazioni esemplari di questo metodo di lavoro dimostrano che i risultati più positivi sono stati conseguiti quando si è riuscito a coniugare gli obiettivi imposti dalla competizione internazionale con azioni volte a ridurre gli squilibri sociali e a integrare le fasce più deboli della popolazione.

L’insieme di questi interventi si caratterizza in modo unitario per la funzione trainante svolta costantemente dal soggetto pubblico, il quale tende ad assumere il ruolo di leader in tutte quelle situazioni in cui era in discussione la modificazione strutturale dell’assetto territoriale, oppure l’insediamento di organismi cui affidare la promozione di operazioni strategiche nel campo del marketing urbano. Esempi significativi sono costituiti, a tale proposito, dalla costituzione di due agenzie urbanistiche controllate dall’ente locale, anche se operanti in regime privatistico: la Vila olimpica sociedad anonima, con il compito di portare a termine il nuovo quartiere olimpico e la Nova Icaria sociedad anonima, finalizzata invece alla realizzazione e alla valorizzazione delle quote di edilizia residenziale privata presenti all’intemo del Villaggio olimpico.

Per quanto riguarda invece le politiche urbane promosse negli ultimi anni dalla città di Salerno, la questione di maggiore interesse è costituita probabilmente dal modo in cui la capacità di leadership si è manifestata in primo luogo nell’azione di rinnovamento del “parco progetti” a disposizione dell’ente locale che è stata operata attraverso una mobilitazione di progettisti di livello internazionale senza precedenti per una città di media dimensione dell’Italia meridionale. Si tratta, come è evidente, di una formula di intervento assai suggestiva, il cui adattamento ad altri contesti non appare proponibile in assenza di una forte personalità che si assuma il compito di tradurre una concezione sostanzialmente elitaria delle politiche urbane in forme tali da apparire comprensibili e convincenti ai cittadini.

La visione strategica

Il secondo profilo è applicabile a quelle esperienze di governo locale in cui la coesione della comunità urbana intorno ad alcuni obiettivi qualificanti è ottenuta attraverso il coinvolgimento delle istituzioni, delle forze economiche e sociali e degli stessi cittadini nella elaborazione di “visioni” e scenari condivisi, cui ispirare le dinamiche decisionali e la elaborazione progettuale.
A partire dalla esperienza pilota di Portland nell’Oregon – che era stata avviata nel 1972 dall’azione pionieristica di Tom McCall e che aveva trovato negli anni Ottanta una prima sistematizzazione con la redazione del Regional Urban Growth Goals and Obyectives – queste pratiche testimoniano l’importanza dell’immaginario collettivo nel vivificare il rapporto tra amministratori e amministrati, la cui interlocuzione trova fertili suggestioni e momenti di verifica proprio attraverso la formulazione di ipotesi di assetto ottenute “montando” le sollecitazioni di punti di vista di provenienza diversa.

A differenza del precedente paradigma, che tendeva a valorizzare fattori prevalentemente immateriali, questa attività di visioning non può fare a meno di evocare interventi significativi di trasformazione urbana, la cui anticipazione serve a irrobustire e a concretizzare il contenuto di una proposta che, altrimenti, rischierebbe di caratterizzarsi unicamente per l’enfatizzazione degli aspetti comunicativi, nonché per la tendenza a far leva sul clima culturale presente in una determinata situazione.

Attraverso lo svolgimento successivo di quattro momenti di discussione (individuazione del profilo della comunità; definizione delle tendenze; definizione della vision; formulazione del piano d’azione) il community visioning è un processo attraverso il quale una comunità locale acquisisce una piena consapevolezza delle iniziative che è necessario intraprendere per costruire il futuro che ritiene più desiderabile.

Si riferiscono a questo modello di intervento le politiche promosse dalla città di Berlino nel quadro delle iniziative legate al trasferimento delle funzioni di capitale federale che ha fatto seguito al processo di unificazione delle due Germanie. In questo caso la costruzione di una visione collettiva sul futuro della città si è assunta il difficile compito di superare la diffidenza, se non addirittura l’ostilità dei cittadini per il progetto della Grande Berlino, nel quale era stato visto un potenziale avversario di quella politica che aveva fatto affluire i fiumi di denaro pubblico con cui Berlino Est e Berlino Ovest avevano finanziato interventi propagandistici e, di competizione tra due modelli antitetici di società. Il superamento di questa avversione è stato affidato a Stadtforum (Forum della città), e cioè ad un organismo fondato nel 1991 che si riunisce sei volte all’anno ponendo al centro di ogni incontro questioni di interesse cruciale per lo sviluppo e la riqualificazione dell’intera area urbana. Ogni riunione è istruita da un consiglio direttivo che rappresenta i punti di vista e gli interessi del principali soggetti di piano, e che poi provvede alla elaborazione di un documento nel quale vengono formulate una serie di raccomandazioni che, per quanto costituiscano un atto informale, vincolano le scelte del Senato relativamente alla assunzione di scelte significative per lo sviluppo urbano dì Berlino.

L’integrazione delle politiche

Rispetto ai contenuti richiamati in precedenza, nei quali il prevalere di un approccio reticolare della pianificazione è servito a veicolare proposte e obiettivi sostanzialmente inediti, non sono rare quelle situazioni in cui il successo di un modello di intervento si misura essenzialmente con la capacità di ricomporre e rendere coerenti spezzoni di politiche ed esercizi progettuali che giacevano da tempo negli uffici tecnici della amministrazione, ma che solo grazie al concorso di fattori combinatori e comunicativi riescono a sviluppare una adeguata sinergia.

In molti casi la ricerca di una sostanziale coerenza tra le politiche di intervento costituisce ormai una declinazione fondamentale del governo del territorio, l’unica realmente idonea a consentire un più elevato rendimento delle risorse investite, la cui entità complessiva tende comunque a decrescere costantemente.

È sufficiente esaminare la sapiente operazione di coordinamento che è stata praticata in occasione della seconda IBA per la riqualificazione dell’Emscher Park, per accorgersi che in una situazione di tendenziale declino dei flussi finanziari intercettati dalla pubblica amministrazione è solo la ricerca e il potenziamento dei legami più o meno espliciti che assicurano la coesione e il dinamismo di un sistema insediativo a far sì che un obiettivo ambizioso e apparentemente utopico quale era senza dubbio la “rinascita” di un’area di collasso ambientale e di declino economico come la Ruhr ha potuto registrare tali convergenze anche in assenza di appositi stanziamenti.

Anche un modello di pianificazione privo di qualsiasi livello di formalizzazione può rivelarsi efficace se riesce a legittimare le proprie indicazioni legandosi ad orientamenti che sono ormai presenti nel dibattito internazionale, e se è in grado di fornire un reale contributo di razionalità ai soggetti (amministratori, tecnici e imprese) della trasformazione urbana. Che logiche di questo tipo possano trovare una sostanziale riproposizione in contesti territoriali e politico-amministrativi molto diversi è poi testimoniato dalla tendenza, presente ormai anche nel nostro Paese, a promuovere una più marcata convergenza su quelle iniziative in relazione alle quali il processo di pianificazione tende a privilegiare la ricomposizione di micropolitiche e interventi settoriali più che affidarsi alla attivazione di risorse esogene o comunque aggiuntive rispetto ai bilanci consolidati. Rientrano sicuramente in questa linea i PRUSST (Programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio) attraverso i quali i criteri ispiratori della pianificazione strategica trovano infatti un importante veicolo di diffusione, che si esprime nella sperimentazione di forme innovative di programmazione negoziata.

La flessibilità strategica

In questi casi il conseguimento degli obiettivi indicati da una determinata politica urbana si affida in larga misura alla capacità di cadenzare il processo attuativo in modo tale da accentuare il più possibile i margini di flessibilità concessi dal sistema di pianificazione.

Le formule più convincenti utilizzano una combinazione di fattori comunicativi e di meccanismi procedurali che consentono di variare le quantità in gioco nella realizzazione dei diversi programmi di intervento in relazione ai segnali che provengono dai “sensori” (osservatori, panel di esperti, indicatori congiunturali, ecc.) predisposti dalle amministrazione in funzione di monitoraggio. Soprattutto nelle situazioni in cui la concertazione pubblico-privato è stata estesa a tutte le principali articolazioni del sistema insediativo, l’attitudine a commisurare la velocità e l’estensione delle trasformazioni programmate alle sollecitazioni che provengono dal mercato e alle opportunità offerte dalle politiche di spesa pone la comunità locale al sicuro dai contraccolpi determinati da eventuali crisi da sovrapproduzione (di beni di consumo, di spazi per uffici, di attrezzature per lo svago, ecc.) o da pericolose sfasature tra i tempi richiesti dalla realizzazione di nuove infrastrutture e quelli, solitamente assai più rapidi, della valorizzazione immobiliare.

Cercando di apprendere dalle esperienze, in cui tali incoerenze si erano tradotte nella distruzione di enormi risorse e nel fallimento di importanti developers (il maggiore dei quali è stato certamente Olympia & York, che nella riqualificazione dei Docklands di Londra ha dovuto investire oltre 4 miliardi di sterline prima di dichiarare bancarotta), le iniziative più recenti riflettono la tendenza ad effettuare su base annuale o biennale il dimensionamento dell’offerta insediativa aggiuntiva di cui si autorizza la realizzazione, provvedendo contemporaneamente ad inserire nei documenti di bilancio gli importi relativi alla realizzazione delle infrastrutture destinate a “servire” le nuove aree di trasformazione urbana.

Ed infatti approcci prudenti ed equilibrati non mancano nelle politiche di intervento promosse di recente per le grandi aree urbane dell’Occidente. Nel caso dell’ambizioso programma di riconversione funzionale dell’area di Kop van Zuid a Rotterdam i provvedimenti adottati dalla amministrazione locale presentano un rilevante tasso di innovazione, leggibile non solo nella scelta di ripartire su base decennale l’intero stock di edilizia direzionale al fine di assecondare maggiormente le oscillazioni congiunturali del mercato, ma anche nella dimostrazione della consapevolezza che la difficoltà di collocare una rilevante offerta immobiliare aggiuntiva spesso deriva dalla qualità insoddisfacente (sotto il profilo edilizio e della dotazione infrastrutturale) delle nuove costruzioni.

2. Prime linee guida

Venezia deve ritrovare una propria autentica ispirazione interpretandola tenendo conto degli elementi di fondo attorno ai quali ruotano oggi le opportunità di crescita connaturate alle dinamiche territoriali, alle spinte al sistema economico, alle azioni di stimolo e di coordinamento che i governi locali possono imprimere al rilancio delle città.

Le nuove forme di governance fungono da indicatore di base con cui il mercato misura le effettive capacità di indirizzo e di dominio politico ed istituzionale di strategie, progetti, processi. Governare appieno la macchina organizzativa comporta oggi l’innesto di pratiche in parte se non del tutto innovative da assumere non più solo in chiave strettamente strumentale, come mezzi tecnici a servizio della capacità di realizzazione del disegno complessivo. Al contrario l’innovazione organizzativa costituisce essa stessa un obiettivo in sé qualificante, parte integrante dello sviluppo medesimo. In particolare viene qui evidenziata l’opportunità, di valutare gli effetti benefici che alcune pre-condizioni possono indurre sull’esito del processi.

Un primo aspetto attiene alla gerarchia degli obiettivi prefissati. L’elaborazíone di un nuovo modello di città e l’individuazione di percorsi e procedure per la sua concreta attuazione non possono prescindere da una chiara definizione degli assi prioritari alle diverse scale d’intervento. Occorre cioè definire, tra quelli selezionati, gli obiettivi ritenuti di assoluta priorità posizionando in scala gerarchica l’intero ventaglio delle azioni e delle sub-azioni progettate. Deve cioè risultare evidente quali iniziative/obiettivo siano giudicate irrinunciabili pena il fallimento dei traguardi minimi prefissati dal Piano di modo che sia possibile concentrare su di esse gli eventuali interventi correttivi o di sostegno, ovvero le opportune implementazioni.
Fare gerarchia degli obiettivi, dunque, ma non per stabilire preventivamente quali interventi eventualmente sacrificare ma, al contrario, per meglio accompagnare una crescita coerente e quanto più possibile omogenea da gestire per linee orizzontali.

Un secondo passaggio cruciale è rappresentato, dall’integrazione delle politiche. Va colto il nesso che fa da collante strategico alle tante iniziative, il sistema delle correlazioni incrociate che lega il perseguimento dei diversi obiettivi finali e, a cascata, le azioni operative che ne discendono. Rispetto ad una massa molto articolata di iniziative che debbono assicurare pari esito conclusivo occorre decifrare le più opportune filiere di interventi da affrontare attraverso politiche congiunte sottoposte ad uno stretto coordinamento.
Il recupero di tutte le possibili sinergie tra i singoli interventi, facenti capo anche a diversi ordini di

obiettivi, raggruppati per pacchetti integrati può agevolare sensibilmente l’effetto di traino che le

azioni in posizione gerarchica dominante possono esercitare verso quelle dotate di una minore

portata strategica e/o di una più ridotta forza d’impatto.
Occorre quindi rafforzare il grado di interdipendenza dei diversi soggetti coinvolti la cui cooperazione, non essendo quasi mai un requisito dato in partenza, costituisce una premessa da formulare prima e da sostenere in corso d’opera.

Un terzo elemento chiave è rappresentato dal monitoraggio dei tempi. La variabile temporale va assunta come elemento decisivo per la verifica in corsa delle effettive capacità attuative di una ipotesi di programma complesso. La sfida della competizione tra insediamenti di rango internazionale sta nel divenire parte integrante di un contesto economico innovato ed allargato attrezzandosi per gestire al meglio, e nei tempi dati, il dialogo con una molteplicità di operatori che guardano alle città con interesse ma che è portato ad agire con spirito fortemente selettivo in ragione dei principi di efficienza/convenienza che possono essere affermati con assoluta certezza.

Un quadro che fosse contrassegnato, oltre che da incertezze procedurali, dall’incognita dei tempi e da ricadute economiche misurabili soltanto nel lungo periodo, non potrebbe che scoraggiare la massa degli investimenti. Occorre perciò riferirsi a percorsi di attuazione modulati e scanditi in funzione del tempo, fattore da assumere come variabile attiva da presidiare in chiave strategica.

Un ulteriore fattore critico deriva dalla necessità di estendere la platea degli attori. Buona parte del destino delle politiche di programmazione dello sviluppo, risiede nella capacità di non essere gestite in modo verticistico. La partecipazione attiva di tutta la cittadinanza alla costruzione della nuova città deve essere posta a garanzia contro i rischi di una possibile disgregazione dei processi, specie in considerazione degli obiettivi che, più di altri, richiedono forme di consenso allargato e di coinvolgimento diffuso. Occorrono meccanismi che favoriscano la partecipazione anche dei capitali minori e al tempo stesso non ostacolino la realizzazione dei programmi più impegnativi.
Il processo di rilancio della macchina urbana, se da un lato infatti presuppone un forte apparato di organismi tecnici per governare una scala di provvedimenti che si dilata in maniera notevole a seguito dell’aumento della dimensione media degli interventi, dall’altro richiede anche un mutamento di ruolo degli attori, spesso con una diminuzione di peso degli operatori tradizionali, la crescita dei nuovi promotori e l’aumento della presenza dei vari agenti sociali interessati alla crescita della qualità della vita urbana.

3. Alcune ipotesi di lavoro

Gli insegnamenti a carattere più generale che è possibile trarre dalla rassegna di alcune esperienze internazionali di successo possono dar luogo a indicazioni più operative non appena si provi ad applicare le riflessioni di natura più metodologica. Per quanto riguarda ad esempio il riordino degli obiettivi prefissati e l’integrazione delle politiche di intervento si impone con evidenza la necessità di puntare con più decisione al potenziamento delle reti locali, che in un sistema insediativo minacciato dai pericoli di scollamento delle più elementari forme di solidarietà sociali prodotte dalle dinamiche postindustriali può mettere in gioco energie insospettabili e soggettività non ancora valorizzate. Come la ricerca applicata ha ampiamente dimostrato nel corso degli ultimi anni, il paradigma reticolare si rivela tanto più fertile, quanto più riesce ad offrire alternative concrete al tradizionale funzionamento di “istituzioni” che sono al centro di intense trasformazioni (il mercato, l’impresa, le organizzazioni sindacali, il welfare, ecc.) a tutti i livelli di complessità presenti attualmente nella realtà urbana.

Anche per quanto riguarda un altro fondamentale insegnamento tratto dalla lettura del contesto internazionale, e cioè la necessità di puntare su una marcata estensione della platea degli attori della trasformazione urbana, il quadro delle iniziative e delle ipotesi di lavoro del piano di Venezia può costituire un campo di applicazione per formule e procedure già sperimentate con successo. È questo il caso di due strumenti assai differenziati per complessità e potenzialità operative, come il Forum e l’Agenzia di scopo, che possono tuttavia rispondere efficacemente alla domanda di innovazione e di coinvolgimento che proviene con insistenza dalla comunità urbana.

Quanto alla prima di tali procedure è abbastanza evidente che la crescente insoddisfazione per le forme più tradizionali e istituzionalizzate della partecipazione dei cittadini alle scelte riguardanti lo sviluppo locale e il governo del territorio può trovare una risposta convincente in occasioni di incontro più informali e creativi, dove elaborazioni e riflessioni comunque prodotte possano alimentare e rivitalizzare il processo decisionale. Come l’esperienza ormai decennale di Berlino può documentare efficacemente, anche modalità di “lavoro politico” così debolmente strutturate hanno tuttavia bisogno di una pur limitata cornice organizzativa in grado di dare continuità, visibilità e credibilità all’iniziativa. Basti pensare, a tale proposito, che è sufficiente disporre di una sede permanente, di un programma di incontri intenso e finalizzato, e di una presenza costante di responsabili della amministrazione di livello adeguato perché il Forum possa diventare un luogo fondamentale di elaborazione e di sperimentazione di accordi interistituzionali e di patti tra cittadini e istituzioni.

Per quanto riguarda invece il ricorso sistematico ad Agenzie di scopo per il perseguimento di obiettivi a cui si attribuisce una importanza strategica per il successo del programma messo a punto è opportuno segnalare che una certa problematicità di questa procedura è compensata dalla sua capacità di rappresentare un formidabile fattore di innovazione in un quadro amministrativo fortemente penalizzato dalla settorialità delle competenze e dalla rigidità nella attribuzione delle responsabilità operative.

Nel confronti di una opinione pubblica che perde progressivamente contatto con le istituzioni, l’introduzione di un fattore di discontinuità in un sistema del governo locale ritenuto troppo rigido e burocratico può riconquistare l’attenzione, e in seguito la fiducia dei cittadini. Una discontinuità immediatamente percepibile sia nella finalizzazione di questa nuova struttura, sia nella possibilità di misurare agevolmente la qualità dei risultati conseguiti, sia infine nel carattere temporaneo di un apparato che potrà essere liquidato non appena il suo programma verrà ultimato.

Dopo aver praticato tutte le modalità previste dal conflitto e dal confronto concorrenziale, la sfera pubblica e la sfera privata possono sperimentare pratiche inedite di stretta collaborazione, in cui le logiche e i comportamenti dell’una tendono a trasferirsi all’altra creando prima disorientamento, e poi interazione crescente. Per effetto di questo mutamento di lungo periodo mentre l’amministrazione pubblica tende a ispirare le sue procedure ai criteri di managerialità in uso nell’impresa, e a ricercare nei propri quadri motivazione e assunzione di responsabilità, i soggetti privati provano a legittimare le proprie scelte in riferimento ad una interpretazione dell’interesse collettivo che adopera sempre più spesso il linguaggio e i concetti propri dei rappresentanti delle istituzioni.

Oltre a produrre conseguenze rilevanti nelle dinamiche sociali e nelle forme assunte dallo scambio politico, una evoluzione di questo tipo è destinata a svolgere un ruolo di fondamentale importanza relativamente ai temi che qui sono stati trattati. Basti pensare alle difficoltà spesso insormontabili incontrate dalle politiche pubbliche e dai relativi strumenti di governo nella regolazione del conflitto tra le forze economiche e sociali, e alle prospettive incoraggianti che si aprono per le stesse pratiche urbanistiche ora che la preoccupazione principale non riguarda più la delimitazione dei recinti in cui confinare l’iniziativa dei diversi soggetti, quanto la ricerca di ambiti di compensazione in cui sviluppare nuovi processi cooperativi.